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cronaca

Scrooge Dickens e lo spirito del Natale (che verrà). Passato, presente e futuro.

Ce lo ricordiamo Ebenezer Scrooge? È il finanziere londinese avaro, egoista e scorbutico del Canto di Natale di Charles Dickens. Quello dei tre spiriti. Il romanzo è del 1843, è un testo laico, iperrealista e modernissimo. Per celebrare queste festività senza precedenti è il nostro libro di riferimento. Per quello che ha rappresentato a fine Ottocento e per quello che ci ricorda oggi. Lo abbiamo scelto per dare una forma allo spirito del Natale passato, presente e futuro. Ne è venuta fuori una letterina a Babbo Natale non breve e non semplice che speriamo possa essere uno spunto per superare quella che da sempre è la più tradizionale di tutte le feste. E che si appresta a diventare il Natale più imprevisto dell’ultimo secolo. Quindi mettiamoci comodi, vestiamo i panni di Scrooge, che male non fa, e prepariamoci a entrare in contatto con lo spirito del natale passato

 

Lo spirito del passato
Il 9 dicembre 2019, un anno fa, avevamo scritto su Info Data che il significato del Natale era stare in famiglia. Neanche a farlo apposta.

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Il sottotesto era quello di sempre, il solito: il consumismo, i regali che sono sempre più digitali, i soldi che sono sempre meno e lo stress dei giorni prima delle feste con le strade affollate, il traffico e le corse per il dono dell’ultimo minuto. Ci lamentavamo di Babbo Natale e di una festa che è diventata nel tempo solo l’occasione per vedere i parenti, scambiarci i regali e mangiare. Pensate che l’anno scorso eravamo pronti a spendere 549 euro per i regali. Oggi saranno 345. Ed è una media perché per molte delle 26 milioni di famiglie italiane questa sarà un Natale senza regali

 

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E poi c’era la chiacchiera (sempre uguale) sulla spiritualità. Sull’ansia dei single. E sul senso della ricorrenza religiosa per chi non è religioso. E poi c’erano le vacanze da progettare, la settimana bianca e la speranza di vedere qualche fiocco di neve il giorno di Natale.

Lo spirito del vecchio Natale era quella cosa là, una normalità di fastidio e ansia, una cosa bella per i bambini e faticosa per i genitori che si concludeva nel migliore dei casi con una cena tutti insieme. Più o meno caotica e più o meno burrascosa.

Quella normalità quest’anno non ci sarà. Lo spirito del Natale presente non ha una forma ma è un numero.

14 milioni

Sono gli over 65 in Italia. Sono i nonni, le nonne, gli anziani. Li conosciamo bene, sono quelli che hanno la pensione, le seconde case, che hanno vissuto il boom economico degli anni 50 e che si lamentano dei giovani che non hanno voglia di lavora. Sono quelli che portano, anzi, che portavano a scuola i nostri figli quando noi lavoriamo. Che li vanno a prendere e che arrivano quando sono malati. Che quando possono pagano le bollette, la mensa scolastica e le attività sportive dei nipoti.

 

Li conosciamo bene perché quando non sono abbandonati a loro stessi vivono con figli e nipoti (oltre una famiglia italiana su tre ha al suo interno almeno una persona di almeno 65 anni). Quando sono ancora autonomi vivono nelle loro abitazioni magari con una badante, in case piccole e in condizione di povertà abitativa. E comunque in stato di isolamento sociale. Anche prima del Covid-19: sette over 65 su dieci hanno grosse difficoltà di partecipare ad attività sociali, uno su cinque ha difficoltà a fare quattro chiacchiere con qualcuno.

18%

Il 18% degli over 65 è considerato fragile con picchi che sfiorano il 30% in Sicilia e il 25% in Puglia, mentre il 15,5% è disabile. Il 60% degli anziani ha almeno una patologia cronica, il 25% ne ha almeno due, e il 13% manifesta chiari disturbi depressivi, percentuale che sale al 22% fra gli over 85.

 

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Non è per essere melodrammatici ma solo realisti. L’età media dei pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2 è 80 anni. Su un campione di 55.824 pazienti deceduti e positivi all’infezione da SARSCoV-2 il numero di deceduti nei quali il Covid è la causa direttamente responsabile della morte varia in base all’età, con valori minimi nelle persone di età inferiore ai 50 anni e massimi nella classe di età  80-89 anni. Se è giusta la stima del presidente dell’Istat quest’anno supereremo i 700mila decessi. Erano 647mila un anno prima. Non occorre fare un calcolo per capire chi ha pagato il prezzo più alto.

Lo spirito di questo Natale sono loro anche perché sono diventati un triste ossimoro. Invisibili ma presentissimi. In prima fila per essere vaccinati ma dimenticati. Cittadini privilegiati, fin troppo protetti e accusati di tutto, di essere causa della recessione, dei negozi chiusi perfino delle scuole che non aprono. Tutto a bassa voce come le proposte di isolarli. Ancora di più. Di immutato ci sono solo le loro pensioni che spesso vengono usate per dare una mano a chi è in cassa integrazione, ha perso il lavoro o è in seria difficoltà. Ce li immaginiamo rancorosi e arrabbiati come sanno solo essere gli anziani in fila alla Posta o davanti alla televisione o dietro a una tenda di ossigeno in un reparto di terapia intensiva. Ce li immaginiamo come i numeri non sanno descrivere e le immagini non possono raccontare. Ma l’errore di questo Natale è che ce li immaginiamo diversi da noi.

Lo Spirito del Natale futuro.

E’ il terzo degli spiriti che fa visita a Scrooge . Il suo scopo è mostrare al protagonista l’oscuro destino che lo attende se non cambierà il suo modo di vivere. Il nostro spirito di Natale per fortuna non è condanna ma consapevolezza. Non è una speranza ma una previsione. Che tipo di previsione? Le conseguenze socio-economiche non sono ancora quantificabili ma solo immaginabili. Le disuguaglianze sono il metro per misurare il primo impatto delle conseguenze del great lockdown, ma sono di tipo nuovo e serviranno nuovi strumenti per descriverle. Per quanto possano essere attendibili le stime e gli scenari dei principali osservatori e istituti di ricerca il punto di caduta e di rimbalzo è ancora laggiù, in fondo da qualche parte nel 2021.

La cosa più onesta che può fare un giornalista prima di mettere il microfono in bocca a istituzioni, scienziati ed esperti per chiedere loro come andrà è quella di scegliere con cura le domande e immaginare, questo sì, quanto resterà di quello che si è depositato nelle nostre pance e nella nostra testa.

La coscienza ambientalista

No, non ci trasformeremo in Greta Thunberg. State tranquilli. Ma qualche cosa Gaia l’ha ricordata a tutti noi. E nel peggiore dei modi. Perché non c’è nulla di più naturale di un virus. E chi ama la fantascienza lo ha sempre saputo.

Di strutturale ci portiamo nel 2021 la crisi climatica, le conseguenze del riscaldamento globale. Gli incendi, la distruzione della biodiversità, ma anche la pandemia sono tutti segni di una relazione con la natura che in qualche modo si è rotta. La domanda è come verranno misurati, se il Great Lockdown e la conseguente drammatica recessione dentro cui siamo invischiati cambierà il nostro modo di misurare e quindi sentire il lento (non più lentissimo) processo di impoverimento del Pianeta.

 

Nel vecchio anno ci lasciamo dietro invece le opinioni forti, le idee nette, i numeri declamati ma non compresi, il pensiero magico del negazionismo. La scienza pre-a-porter, i virologi che parlano di politica e i politici che discettano di vaccini. Quello che si è creato è anche un cortocircuito informativo, dove nessuno è stato nel suo. Quando la scienza esce dal suo ambito tecnico e invade il campo della politica perde la consistenza del suo metodo di indagine. L’urgenza di avere delle risposte ha compromesso in alcuni casi il dialogo con la comunità scientifica. Come sanno bene gli scienziati è troppo presto per la scienza per avere una risposta definitiva a diverse domande cruciali e quindi è troppo presto per noi per scegliere di agire sulla base di queste. Allo stesso modo quando il politico rinuncia al suo ruolo di sintesi scaricando la responsabilità per le sue scelte su un algoritmo tradisce in un certo senso il mandato popolare.

 

Quello a cui abbiamo assistito è a un tentativo di poltica data-driven con i suoi 21 parametri in formato Pdf che non hanno aiutato un processo di misurazione dei fenomeni fondamentali per compiere delle scelte pubbliche. Ci lasciamo indietro il Novecento e un vecchio modo di intendere la politica e la comunicazione. E non è una speranza. Un evento drammatico, globale e senza precedenti come la pandemia ci spingerà nel 2021 a interrogarci di più sul senso delle cose. Per la prima volta un virus, qualcosa quindi di naturale e normale per la vita sulla Terra per come la conosciamo fino ad oggi, ha condizionato e cambiato il nostro quotidiano e le nostre prospettive di vita. La comprensione esistenziale di questi accadimenti appartiene al 2021. Come la rappresentazione del terzo spirito del Natale. Che sarà tante cose insieme.

Lo spirito del Natale 2021. 

Sarà arrabbiato come chi ha perso il lavoro. Arrabbiato con il virus, con il Governo, con i soldi che non sono arrivati o che non sono stati abbastanza per resistere.

Sarà più povero, più solo e più spaventato. Perché ha perso qualcuno per il Covid-19, e forse la fiducia in chi ha detto che sarebbe andato tutto bene. Perché non è andato tutto bene.

Sarà un sopravvissuto. E come tutti i sopravvissuti sarà più forte.

Lo spirito del nuovo Natale vorremmo che fosse come un Piccolo Principe sceso dal cielo con la sua rosa per imparare cosa è l’amicizia. Ma non sarà poetico come nel testo di nel testo e nelle illustrazioni di Antoine de Saint-Exupéry.  Ce lo immaginiamo come in brutto futuro distopico, un ragazzino punk, spaventato e arrabbiato, che vuole tutto ma lo vuole con gli altri, perché gli altri servono. Che si è stancato di vivere in una bolla su un Pianeta lontano e che ora vuole una costruire quello che non vede qui sulla Terra. Che finalmente vede i fili invisibili che ci legano agli altri, dove tutto è connesso e interdipendente. Dove tutti noi siamo connessi e interdipendenti.

“L’essenziale è invisibile agli occhi”, diceva la Volpe al Piccolo Principe. Il nostro Principe invece l’essenziale lo ha visto, vissuto e compreso.
Buon Natale.