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cronaca

Dove vorrebbero migrare i migranti? L’Italia è come il Giappone

Nonostante Trump e la deriva non esattamente amichevole del Governo americano verso gli immigrati, gli Stati Uniti restano la nazione verso cui i migranti preferirebbero andare. Lo mostra un’analisi condotta dall’istituto di rilevazioni Gallup e sottolineata  dal World Economic Forum, secondo cui poco più di un intervistato su cinque sceglierebbe, potendo, di trasferirsi proprio in America.

Germania e Canada vengono dopo, e a una certa distanza, mentre l’Italia viene menzionata di rado e allo stesso livello del Giappone – certo non una nazione con una particolare storia d’immigrazione. Dettaglio interessante: anche la Spagna compare nei risultati prima dell’Italia, anche se la differenza non è enorme.

 

Che gli Stati Uniti restino in testa non vuol dire però che i grandi cambiamenti politici degli ultimi anni siano stati senza effetti, anzi. Non è forse un caso se proprio lì, oltre che nel Regno Unito della Brexit, troviamo un calo delle preferenze rispetto ai primi anni 2010. Anche l’Italia appare oggi meno preferita, e in effetti rispetto ad allora – persino includendo i numeri dei richiedenti asilo – di immigrati totali ne arrivano molti meno.

 

Cresce invece la popolarità della Germania, nazione che proprio a proposito di richiedenti asilo ha ricevuto poco meno di 1,5 milioni di richieste solo fra 2015 e 2017. Anche qui, è possibile anche se non certo che fra le due cose esista un nesso. Certamente nel paese teutonico le condizioni economico sono fra le più favorevoli del continente, e questo invece conta senza alcun dubbio.

 

 

Questo sono, da un lato preferenze e speranze di chi arriva. Dall’altro ci sono poi i numeri reali, regolati da leggi sui flussi, possibilità concrete di viaggiare ed essere poi accettati e così via: dall’idea di partire fino a mettere piede stabilmente in un paese spesso la strada è complicata.

 

Così, a ben vedere, la popolazione non nativa di ciascuna nazione è in qualche modo uno specchio della sua storia, geografia e cultura. Se per esempio prendiamo gli arrivi dal 2010 al 2016, ultimi anni per cui l’OCSE rende disponibili  numeri, troviamo come spesso l’immigrazione ha ancora oggi a che vedere con il passato ex coloniale di tante nazioni. È il caso di Francia e Algeria, ma anche di Regno Unito e India.

 

Altre volte, come per i polacchi immigrati in Germania o i messicani negli Stati Uniti, sembra solo questione di vicinanza e di opportunità.

 

 

Il caso dell’Italia va considerato a parte. Nel nostro paese i flussi principali sono arrivati dopo l’allargamento a est dell’unione europea a metà degli anni 2000, e con l’inclusione della Romania. Proprio da lì arriva il gruppo più ampio di non nativi – diverse centinaia di migliaia di persone che rappresentano  la comunità più significativa con oltre cinque milioni di persone.

 

Dopo la crisi economica del 2008 però i flussi in ingresso sono crollati, praticamente dimezzandosi rispetto al picco massimo, e solo di recente la curva è tornata – pur se molto debolmente – a invertirsi di nuovo.

Articolo pubblicato a gennaio 2019