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cronaca

Quello che sappiamo sull’inflazione non è vero. Parla Stefano Feltri #ungraficoeunlibro

«Il denaro è così stupido, se non lo si spende», scriveva Zola nel suo Au bonheur des dames. La questione, tuttavia, è in quali tempi ci sia concesso di spendere il nostro denaro, se, cioè, in epoca di salda e diffusa fiducia o, al contrario, di pessimismo e incertezza radicale circa le condizioni dell’economia e le prospettive che queste dischiudono alle nostre vite o, più modestamente, alle nostre giornate. Il sistema economico non è solo estremamente articolato ed esteso, ma è spesso, proprio per la sua complessità, anche invisibile; ci rende un po’ simili ai pesci che, come si dice, non sanno nulla dell’esistenza del mare. Il nostro breve raggio prossemico falsa la comprensione di fenomeni pervasivi come, ad esempio, l’aumento prolungato e generalizzato dei prezzi, che, pur apparendo ad alcuni di noi – forse i più privilegiati – astratto e remoto, riguarda chiunque da molto vicino. Stefano Feltri nel suo Inflazione. Cos’è, da dove viene e come ne usciremo (UTET, 2023), illumina la genesi, la storia e le prospettive di un ‘male’ che ha già assediato negli scorsi decenni le economie mondiali, contribuendo alla traiettoria dei più importanti avvenimenti non solo economici, ma anche sociali e politici. Ho provato a capirne di più insieme all’autore.

 

Il titolo dell’introduzione «Quello che sapete sull’inflazione non è vero» lascia intendere che su un tema tanto complesso, per molti ostico, si siano diffusi equivoci di non poco conto. Cosa viene frainteso più spesso?

 

L’inflazione si misura nelle statistiche, come quelle diffuse ogni mese dalla Bce o dall’Istat, ma la percezione che ne abbiamo dipende soprattutto dai consumi individuali e dal recente passato.

Se aumenta il prezzo di alcuni beni o servizi con un’alta frequenza d’acquisto – come il caffé o il biglietto della metro – avremo la sensazione di vivere in una stagione di forti rincari anche se, nel frattempo, prezzi che sperimentiamo più di rado – come quelli di smartphone o bici elettriche – scendono.

Inoltre, se veniamo da periodi di bassa inflazione ci metteremo molto ad accorgerci che qualcosa è cambiato, così come dopo periodi di alta inflazione è difficile riconoscere il ritorno della “normalità”.

 

 

Tensioni inflazionistiche prolungate impongono prima o poi, come tu stesso sottolinei, questioni di natura redistributiva e di equità sociale. Credi che, rispetto al nostro Paese, ciò possa incidere in misura rilevante sullo scenario politico, diciamo, di medio termine?

 

Certo. La gestione dell’inflazione richiede scelte distributive importanti, che non spettano soltanto ai banchieri centrali.

Si può combattere l’inflazione scoraggiando l’adeguamento dei salari, per evitare la temuta spirale che adegua i compensi e così finisce per spingere i prezzi.

Oppure si può favorire la concorrenza, ridurre il potere di mercato di aziende e corporazioni, scoraggiare la rendita come quella immobiliare attraverso la tassazione, in modo da uscire dalla fase di inflazione con una società più equa.

Bisogna, insomma, decidere chi deve pagare il conto.

 

 

In una prospettiva molto generale, credi che l’intelligenza artificiale generativa nelle sue versioni via via più sofisticate avrà impatti indiretti anche su una variabile fondamentale come l’inflazione?

 

E’ molto difficile dirlo perché siamo all’inizio di un percorso che vede contrapporsi spinte di segno opposto.

Da un lato, le nuove tecnologie basate sull’intelligenza artificiale potrebbero avere un effetto simile a quello della globalizzazione e aumentare la concorrenza, con una conseguente riduzione dei prezzi.

Ormai un singolo individuo può competere con intere aziende grazie a ChatGpt per il supporto sui testi e le traduzioni, a MidJourney per le illustrazioni, a Descript per il montaggio di file audio e video..

Nel più roseo degli scenari, l’AI potrebbe favorire – perfino in Italia – una crescita dei salari motivata dall’aumento di produttività, quindi una crescita sana e non inflattiva.

Dall’altro lato, però,  la nuova ondata di innovazione tecnologica si fonda su materie prime molto scarse (litio, grafite, cobalto) che possono innescare dinamiche inflazionistiche analoghe a quelle viste con le fonti fossili.

E poi ci sono colli di bottiglia nella produzione di semiconduttori che possono generare altri shock di prezzo.

 

 

Abbiamo più ragioni per essere pessimisti oppure ottimisti? Insomma, ne usciremo?

 

Prima o poi sì, certo, le inflazioni finiscono sempre perché a un certo punto innescano una recessione, che però tutti vorrebbero evitare.

La presidente della Bce Christine Lagarde ripete che l’inflazione è “troppo alta da troppo tempo”, ma anche la stretta monetaria relativamente rapida di Francoforte ha determinato un rapido calo dell’inflazione headline (che include energia e cibo) dai picchi di ottobre 2022 quando era al 10,6 per cento, ma l’inflazione core non ha ancora iniziato la sua frenata.

Oggi la Bce dice che l’inflazione tornerà al 2 per cento nel 2025. A me sembra più un auspicio che una aspettativa realistica, visto che finora il futuro si è rivelato sempre molto diverso dalle attese e che in quasi due anni possono esserci molti altri shock capaci di alterare gli equilibri.

Inoltre, alcuni fattori strutturali della nuova inflazione rimarranno e si faranno sentire ancora di più: demografia, crisi della globalizzazione e transizione ecologica.

 

 

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