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politica

La verità è invisibile. Perché occuparsi della menzogna? Un grafico e un libro

La verità è invisibile. Noi vediamo che il sole è sorto, non vediamo mai che è vero che il sole è sorto, argomentava Frege. La verità non è proprietà dei fatti, ma delle frasi in relazioni ai fatti, o delle proposizioni in relazione al mondo. La verità è dunque, per così dire, inafferrabile sul piano delle cose; essa appartiene piuttosto ai discorsi che alle cose si riferiscono. Ciò vale anche per la menzogna che nasce sulla verità, come i rovi sul prato erboso. Ma laddove la verità è una, la menzogna è molteplice: innumerevoli sono infatti i modi di mentire. Perché occuparsi proprio qui della menzogna? Perché l’allarmante diffusione di notizie false al servizio della propaganda di Stato, in quanto menzogne strumentali alla manipolazione delle opinioni pubbliche, costituisce uno dei temi centrali e forse più allarmanti dell’attualità sociale e politica.

Acutezza e perspicuità non sono virtù di tutti, ma certo non ne difetta Marta Federica Ottaviani, autrice di Brigate Russe, la guerra occulta del Cremlino tra troll e hacker, recentemente edito da Lelettere. Il testo ci aiuta a comprendere la natura della propaganda russa, fatta di manipolazioni menzognere, dichiarazioni in esplicito disaccordo con la realtà osservabile, travisamenti intenzionali, attribuzioni pretestuose e distorsioni narrative, il tutto allo lo scopo di produrre mondi fittizi in cui lasciar agire il falso.

L’obiettivo è quello di influenzare la percezione e i comportamenti delle élite politiche occidentali e delle opinioni pubbliche cui le prime sono periodicamente chiamate a rispondere, secondo un principio di alternanza e limitazione del potere che caratterizza la fisiologia di tutte le democrazie.

Come sappiamo, la propaganda non è invenzione dei russi, anzi l’Occidente ne è a suo modo campione; ciò che però distingue l’attività propagandistica di Mosca è la sua inclusione in un quadro teorico e operativo di guerra ambigua, guerra non convenzionale o guerra grigia (grey zone warfare), che mira a ricalibrare i tradizionali schemi d’azione militari fatti di massicce operazioni sul campo e scontri materiali diretti con il nemico. Il nucleo strategico di questa peculiare concezione della guerra, la cui inafferrabilità e indeterminatezza ne fanno qualcosa di assai diverso dalle operazioni militari sul campo, è contenuto in quella che, per ragioni di comodo, viene denominata Dottrina Gerasimov, dall’omonimo capo di stato maggiore generale delle forze armate russe. Agendo nella zona grigia in cui stato di guerra e di pace si confondono, la ‘dottrina’ contempla numerosi mezzi di manipolazione e propaganda, che sfruttano intensamente le tecnologie della Rete e i media tradizionali. Un apparato trasversale che coinvolge, come scrive Marta Ottaviani  «militari, informatici, ma anche realtà economiche, politiche e sociali, diplomatici, psicologi, analisti, economisti e pure giornalisti» (Brigate Russe, p. 79). Si tratta di un «approccio olistico al danno», che mira ad alterare «non soltanto il quadro politico, ma anche quello economico, sociale, culturale e antropologico» di paesi bersaglio ritenuti ostili (B.R. p. 39). Una vera e propria prasseologia della menzogna e della farsa, funzionale alla manipolazione delle masse e delle loro élite di riferimento.

La componente centrale del grey zone warfare coincide con la cosiddetta infowar o guerra dell’informazione, cui è attribuita la funzione principalmente offensiva di «influenzare ambienti economici, politici nonché l’opinione pubblica a vantaggio degli interessi russi». Alle nazioni ritenute ostili «possono toccare in sorte atti di sabotaggio, diversione, disinformazione, terrorismo informatico, manipolazione e intimidazione» (B.R. p. 64).

 

È bene chiarire, a questo punto, che la parola «menzogna» qui non possiede una connotazione morale; il senso di questa breve analisi è, infatti, esclusivamente tecnico. Esiste, anzi, una sorta di ‘analisi tecnica’ della menzogna, sviluppata in un piccolo testo che vorrei far reagire con quello di Marta Ottaviani. Il titolo è, per l’appunto, Menzogna (di Franca D’Agostini, edito da Bollati Boringhieri, 2012). Quanti modi esistono di mentire? Il campo del ‘non vero’ ha limiti amplissimi: il mentitore dispone, in altre parole, di uno strumentario assai ricco. Esistono menzogne semplici (in cui si dice semplicemente il falso), metamenzogne (in cui si nega di aver detto quel che si è detto o si afferma di averlo detto senza intenzione di mentire), premenzogne (che preparano il terreno a future bugie, perché siano credute vere) e persino menzogne senza menzogne, che funzionano per implicatura (in cui si dice un vero parziale, lasciando però intendere, o implicando, il falso). Franca D’Agostini articola una tipologia ben più complessa, ma questi primi concetti sono sufficienti a inquadrare alcuni fatti riportati dai quotidiani nazionali nelle scorse settimane.

 

La Russia nega di essere coivolta nella terribile strage di Boucha (5 aprile 2022), nonostante prove video testimonino la presenza di truppe di Mosca sul luogo della strage (27 aprile 2022). Un caso ovvio di menzogna ‘semplice’.

 

Lavrov sostiene che le dichiarazioni a proposito della possibilità di un conflitto atomico siano oggetto di interpretazioni iperboliche da parte dei media occidentali (1 maggio 2022), che avrebbero il pessimo vizio di estendere le parole del Cremlino ben oltre i confini naturali del loro significato. Ecco un caso flagrante di metamenzogna: si rivolge una minaccia a qualcuno, con o senza intenzione, e in seguito, invece di ritrattare, si accusa il minacciato di travisamento e malafede.

 

L’Occidente ha dichiarato una guerra ibrida totale contro la Russia’ (14 maggio 2022), ha sostenuto Lavrov. Medvedev, di rincalzo, ha accusato l’intero Occidente di pianificare la «distruzione» della Russia. Qui non si tratta più di menzogne semplici, seppure il falso intenzionale giochi in esse un ruolo primario, ma di premenzogne, che mirano a costruire un mondo fittizio in cui nuove falsità possano in futuro attecchire ed essere ritenute vere. La Russia deve essere creduta una vittima, non un aggressore che agisce al di fuori della legalità internazionale. Si tratta di una versione propagandata dal tempo della prima invasione russa ai danni dell’Ucraina nel 2014. Il numero di menzioni della parola «russophobia» da parte del ministro degli esteri russo, della rete televisiva RT e di Sputnik News ha, non a caso, subito un incremento verticale a partire da quello stesso anno.

 

Numero di menzioni del termine “russophobia” e “russofobo/a” da parte del Ministro degli Esteri russo, della rete televisiva RT, direttamente finanziata dal Cremlino, e da Sputnik News, agenzia di stampa, emittente radiofonica e sito di informazione tradotto in più di trenta lingue, che persegue lo scopo dichiarato di migliorare la reputazione della Russia nel mondo. Fonte: DFRLab attraverso U.S. Department of State.

Le opinioni pubbliche dei paesi occidentali sono davvero ostili alla Russia? Marta Ottaviani riporta nel suo libro l’esito di uno studio condotto nel 2020 dal Pew Research Center, che misura il tasso di gradimento in 33 Paesi nel mondo. Il livello più basso riguardava, nell’anno dell’indagine, gli Stati Uniti (18%) e i Paesi dell’Europa Occidentale (31%). La media complessiva europea si attestava intorno al 37%; in Italia il 43% degli intervistati esprimeva consenso nei confronti della Russia e dei suoi leader. Lo studio concludeva che a livello globale le persone tendono a esprimere scarsa fiducia nella capacità di Putin di «fare la cosa giusta» riguardo agli affari internazionali e che meno della metà degli adulti nei paesi intervistati «vede favorevolmente» la Russia. L’immagine di un mondo ‘russofobico’ in cui Mosca e la popolazione russa nel suo insieme sarebbero oggetto di avversione, repulsione o paura — ciò che il suffisso -phobia propriamente indica — appare, perciò, a tutti gli effetti una forzatura propagandistica: una ‘fobia’ è sul piano semantico assai più negativa di uno scarso favore nei confronti di qualcuno o qualcosa. Ma una premenzogna consiste esattamente in ciò: preparare il terreno, perché altre versioni menzognere abbiano facile corso in un quadro complessivamente falsato e funzionale alla propaganda futura.

 

A due mesi dallo scoppio del conflitto russo-ucraino, l’avanguardia giornalistica della propaganda putiniana all’estero (nella persona di Olga Kuraeva) proponeva agli spettatori italiani una versione esemplarmente rovesciata dei fatti, sostenendo che non vi fosse alcuna guerra in quanto essa non era stata formalmente dichiarata. Una menzogna ‘tecnica’ che nella sua sconcertante falsità assumeva a premessa un fatto vero – Mosca non aveva dichiarato guerra a Kiev – per implicare un fatto falso – era in atto non una guerra, ma una ‘operazione speciale’ di de-occupazione dei territori ucraini dai battaglioni nazisti sostenuti dagli occidentali e dal governo ucraino.

 

Parte della strategia propagandistica del Cremlino consiste nell’usare i principi della libertà di espressione e di informazione contro le stesse liberal-democrazie che li affermano, facendo della disinformazione una vera e propria arma di politica estera. «Lascia che le tue parole si esprimano non attraverso il loro significato, ma attraverso coloro contro cui esse vengono usate», scrive Milosz nella sua poesia Child of Europe, una massima che potrebbe compendiare accuratamente il modo di agire di Mosca. Alla base della propaganda russa vi è la convinzione che libertà e pluralismo siano sintomi di una fragilità su cui è opportuno fare leva per scardinare il senso di coesione delle società occidentali, compromettendo la coerenza critica dei dibattiti di politica interna ed estera, e incidere così sulle relazioni tra i governi degli stessi Paesi atlantisti. Prova ne sia il sostegno culturale, morale e, secondo alcune fonti, anche finanziario, riservato a neoeurasisti (radicalisti anti-NATO e anti-UE) e Russlandvesteher (filorussi moderati e pragmatici) operanti nei partiti, nell’accademia e nei media, e favorevoli, in differente grado, alle azioni di politica estera russe.

Alla società pluralistica sono connaturati il confronto e la libera circolazione delle idee, ma se la democrazia delle opinioni consente al seme del relativismo di radicarsi e germogliare, allora qualunque tesi può forzare i ranghi della ragionevolezza, divenire autorevole in seno al dibattito pubblico ed essere ritenuta credibile a prescindere dalla sua fondatezza e dalle sue fonti. E se lo scenario diviene ostile alla verità, l’indagine e l’informazione libere forniscono l’unico saldo contrafforte critico alla menzogna.

Inizia oggi la rubrica: Un libro e un grafico. Una recensione con didascalia intelligente.