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economia

Noi siamo davvero quello che mangiamo? Lettura critica del paniere Istat

“Noi siamo quello che mangiamo”, affermava Feuerbach. Nell’Ottocento l’unione di carne e spirito rappresentò un passaggio importante nel pensiero occidentale e ci lasciò, inoltre, questo bell’aforisma che ci serve per introdurre le novità sul paniere dei consumi.

Chissà cosa direbbe oggi il filosofo guardando alla nostra società. Forse non siamo più (solo) quello che mangiamo, ma siamo anche diventati quello che indossiamo, il modo in cui viaggiamo, comunichiamo, ci relazioniamo con gli altri. Per molti di questi aspetti, forse la quasi totalità, alla base c’è uno scambio di valore: un acquisto insomma.

Solo che ogni anno i prezzi non sono gli stessi: nel recente passato facevamo fatica ad accorgercene, perché l’inflazione si aggirava su tassi modesti e quei piccoli aggiustamenti non si sentivano poi così tanto. Oggi invece viaggia a ben oltre il 5% sull’anno precedente. E, nell’attesa che le politiche restrittive della Banca Centrale diano l’effetto sperato (oltre che, ovviamente, allo stabilizzarsi dei costi dell’energia), ci tocca fare i conti con un borsellino che si assottiglia.

Ma come viene calcolata l’inflazione? Per approssimazione, in modo molto semplicistico, si prende il carrello della spesa medio degli italiani e si misura. Prima e dopo. Dieci chilogrammi di pasta, tre etti di filetto di pollo, un tubetto di dentifricio, una seduta di igiene dentale: quanto costavano l’anno scorso? E adesso? Una semplice operazione algebrica ed ecco che viene fuori il numero che dà tanti grattacapi alle famiglie.

Poiché tuttavia è virtualmente impossibile tenere traccia di ogni singolo prodotto (e variante di questo) che viene messo in vendita, si sceglie, da molti anni e con successo, di seguire la strada del cosiddetto “paniere”: un insieme di beni che sia rappresentativo dei consumi. Sia di quelli che sono lo zoccolo duro della spesa degli italiani, sia di quelli che vanno di moda. Da quest’anno, ad esempio, assieme alle biciclette (che nelle versioni da adulto e bambino sono presenti dagli anni ’50) trovano spazio anche i monopattini, rimedio geniale per la mobilità urbana secondo alcuni e disgrazia pubblica per altri.
Ma non mancano di certo il burro o le patate, che assieme allo zucchero e al pane rappresentano i prodotti che da più tempo meritano – sempre con la stessa denominazione – di essere presenti.

Poi, ovviamente, non ogni prodotto vale lo stesso: ci sono degli articoli ricorrenti, e magari economici, ed altri molto più costosi ma anche molto più rari. Così, ad ogni bene viene associato un peso differente.

Ma alla fine nei 422 prodotti che sono stati scelti tutti noi possiamo ritrovarci. Se non al 100% come individui, almeno come collettività nazionale. Non siete convinti? Ragionate per assurdo, e andate un po’ a vedere i beni del vostro anno di nascita, o dell’anno di nascita dei vostri genitori. Vi troverete un mondo che probabilmente non esiste più. Prendiamo quello dell’inizio degli anni ’70: chi non aveva un atlante in casa? Poi c’era il baccalà, purché bagnato, il canone telefonico – dell’apparecchio quello fisso e grigio della Sip; e ancora il francobollo, il kerosene, il telegramma, e la tessera ENAL, che vi sfidiamo a intuirne il significato senza cercarla online.

Ma rapidamente si può andare ai primi anni ‘80, dove il vero lusso arriva nel paniere: le automobili straniere di oltre 1.500 di cilindrata. Poi la plastica ovunque: per le tovaglie, per le siringhe, per le imbarcazioni, per la valigia e per le mutandine.

Insomma, noi siamo ancora quello che mangiamo. Ma anche quello che indossiamo. Anche se oggi la sola idea di metterci delle braghe di plastica ci fa sorridere. Già, chissà cosa avrebbe detto Feuerbach.