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cronaca

Perché non ci sono dati scientifici per decidere se tenere chiuse o aperte le scuole?

Nella vita, lo sappiamo, una scelta può rivelarsi giusta, alla fine, anche se mossa da motivi poi rivelatasi sbagliati. Succede. La riapertura delle scuole è un esempio di questa complessità: tenerle chiuse potrebbe rivelarsi la scelta più giusta, permettendoci di contenere i contagi in questa fase delicata. Ma il punto è che non c’è al momento un motivo davvero “scientifico” per optare per l’una o l’altra scelta, perché non ci sono studi definitivi sull’impatto della scuola sull’andamento dei contagi. Ci sono delle correlazioni valide, per esempio che a ottobre la curva dei contagi è risalita aprendo la seconda ondata, proprio dopo una ventina di giorni dall’apertura delle scuole, ma non ci sono ancora delle certezze circa la causalità diretta. La differenza fra questi due concetti è centrale per la scienza: “correlation is not causation”.

Un esito può essere frutto della concorrenza di diversi fattori, dove il peso di ognuno cambia a seconda del contesto locale che si analizza. Per questo parlare “dell’impatto della scuola”, tutto al singolare, può essere fuorviante.
Significa che se non abbiamo dati certi non dobbiamo chiudere le scuole? No, vuole solo dire che la scelta di non riaprire la scuola può essere solo una scelta di prevenzione per provare a ridurre a priori i contatti fra famiglie in un momento in cui i contagi sono ancora alti, il personale medico è allo stremo, gli ospedali sono ancora in difficoltà e le coperture vaccinali procedono a rilento.

Ma non dobbiamo – lo ribadiamo – confondere una correlazione con una causa. Vediamo qualche esempio che ci spiega meglio perché è bene mantenere separati i due concetti.
La correlazione si riferisce ad una relazione tra due (o più) variabili che cambiano insieme, per esempio l’apertura delle scuole e l’aumento dei casi di positività (fra la popolazione generale ma anche fra le persone coinvolte). Perché una relazione di correlazione si definisca causale Devono essere soddisfatti tre criteri: primo, le variabili devono essere correlate fra di loro; secondo, una variabile deve precedere l’altra variabile a livello temporale; ma soprattutto deve essere dimostrato che non ci sia una terza (o quarta, o quinta) variabile a interferire.

Facciamo un esempio. Immaginiamo di avere davanti dei grafici serissimi, frutto di un’indagine ben condotta su un ampio campione, che mostrano una correlazione positiva fra attività fisica e tumore alla pelle. Quando diciamo “positiva” significa che all’aumentare del valore di una variabile cresce l’altra. Potremmo dire che più attività fisica fai più rischi che ti venga il cancro alla pelle? No, non vuol dire questo! La correlazione c’è ma dobbiamo capire come si forma prima di decidere se è davvero “colpa” dell’attività fisica direttamente. Un motivo di questa correlazione (che ci siamo inventati) potrebbe essere che fa più attività fisica chi vive in zone calde e molto assolate rispetto a chi vive in zone fredde. Quindi la causa della maggiore incidenza di tumori cutanei sarebbe l’esposizione al sole e la soluzione non sarebbe impedire alla gente di fare attività fisica, ma consigliare un’ottima crema solare.

Le variabili che determinano la crescita dei contagi sono tantissime, alcune strutturali altre legate ai comportamenti individuali. Nel primo gruppo troviamo per esempio capacità di individuazione dei casi tramite tampone e contact tracing, trasporti pubblici sufficienti a garantire il distanziamento, regole sufficienti per la gestione della sicurezza nelle classi, ecc, mentre fra i comportamenti individuali si annoverano l’uso della mascherina fra studenti e insegnanti, rispetto del distanziamento, igiene delle mani. Ognuna di queste macrovariabili ne contiene altre. Per esempio sappiamo che regioni diverse hanno sviluppato una diversa gestione dell’offerta dei tamponi, fra molecolari e rapidi, con tempi più o meno lunghi di attesa prima del risultato. Il risultato è che davanti alla domanda “dottore penso di poter essere stata a contatto con un positivo” ci sono state decine di modalità di risposta diverse: chi ha fatto subito un tampone, chi no, chi ha fatto la quarantena preventiva e poi il tampone a 10 giorni, chi a 14, chi potendo pagare ha fatto un test rapido e poi un molecolare, il primo negativo mentre il secondo positivo, ma nel frattempo si era già andati in giro, forti della prima negatività. Solo per fare degli esempi del fatto che estrapolare una relazione di causalità da questo caos multicolore è poco più di una speranza.

Tornando alle scuole, la correlazione la vediamo, ma che cosa la causa? La scuola in sé o altri aspetti che ruotano intorno a essa, alcuni dipendenti da lei, altri no? Considerare la scuola come un tema a sé rischia di portarci nella direzione sbagliata. Se c’è una cosa che abbiamo imparato in questi mesi di pandemia è che le scelte politiche non hanno potuto basarsi sui “dati scientifici” di cui ci riempiamo tutti (anche noi giornalisti) la bocca. Al momento possiamo dedurre che meno persone circolano meglio sia per l’abbassamento dei contagi, come ragionamento generale, e sulla base di questo assunto logico fare delle scelte politiche sperando che non ci siano variabili nascoste che ci stanno sfuggendo. Ma lasciamo stare i rapporti di causalità.

Qui sotto trovate alcuni grafici del rapporto dellIstituto superiore di sanità versione 30 dicembre 2020 sui contagi in ambito scolastico. Alcuni numeri li trovate qui.