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Il Covid-19 e la seconda ondata (di infodemia): diffidate di chi usa i numeri assoluti

«C’è stato un risveglio. Lo hai percepito?». Il lettore ci consenta di citare il leader supremo Snoke (molto probabilmente uno dei personaggi meno riusciti dell’universo di Star Wars, quasi certamente uno dei meno approfonditi, ndr) per tornare a parlare di come vengono diffusi i dati relativi alla pandemia da nuovo coronavirus.

Il risveglio non riguarda tanto l’aumento in numeri assoluti dei contagi registrati nel nostro Paese. Quanto il fatto che sta arrivando la seconda ondata dell’infodemia. E se è sano che ci sia dibattito tra gli scienziati rispetto a un virus del quale ancora resta molto da scoprire, lo è un po’ meno che questo dibattito avvenga in prima serata in Tv. Ed è del tutto controproducente quando finisce in risse, fortunatamente solo verbali, a mezzo social.

I superdiffusori dell’infodemia, però, restano i giornalisti (chi scrive non è esente, ndr). E sui giornali, sineddoche entro la quale ci sia permesso di ricomprendere ogni mezzo di informazione, la seconda ondata è ben presente. Certo, il fatto che il presidente americano Donald Trump sia risultato positivo, con le conseguenze che questo può avere in termini geopolitici, non aiuta. Nel senso che contribuisce ad aumentare l’attenzione mediatica sulla pandemia.

Fortunatamente, la scienza ha elaborato un tampone che permette di riconoscere la positività a questa patologia. Un tampone del tutto gratuito e che è a disposizione di tutti: basta riconoscere il giornalista che utilizza numeri assoluti per raccontare il contagio. E diffidarne. Vale, ovviamente, anche per la redazione di Infodata.

Il problema, per mantenere la metafora in una galassia lontana lontana, è che solo un Sith vive di assoluti. Dove i Sith sono i ‘cattivoni’ della saga ideata da George Lucas. E appunto titolare che sabato 3 ottobre si sono registrati 2.844 positivi, oltretutto aggiungendo che non se ne vedevano così tanti da aprile, rappresenta la via per il lato oscuro dell’informazione.

E non soltanto perché, prima relativizzazione possibile, significa che si è positivizzato un italiano ogni 21.183. Che, per inciso, significa che è risultato positivo al test un abitante di Sondrio, non ce ne vogliano i valtellinesi. Ma anche perché il numero di persone positive al Sars-CoV-2 dipende dal numero di quelle che vengono sottoposte ad esame diagnostico. Via, ad un tampone.

Nello specifico, il 3 ottobre si è registrato un tampone positivo ogni 41,8 dei 118mila test effettuati. Il 21 aprile i positivi furono 2.729, grosso modo quelli di sabato scorso, mentre i tamponi effettuati poco più di 52mila. Il che porta le persone infette scoperte a una ogni 19 esami. Circostanza che conferma una volta di più quanto siano cambiate le cose in questi mesi: sia in termini di quantità di test che di tipologia delle persone che a questi ultimi vengono sottoposte. Che, più in generale, di andamento della pandemia. Tutti elementi che il numero assoluto dei nuovi positivi non permette di valutare.

Così come ha poco senso, al netto del cattivo gusto, pubblicare la classifica dei Paesi con più decessi espressi in numeri assoluti. Specie se si afferma che al terzo posto c’è l’India con 94.503 morti e al sesto l’Italia con 35.835. Peccato che, al 2018, i cittadini indiani fossero 1,353 miliardi, contro i 60,2 milioni di italiani al 1 gennaio di quest’anno. Il che significa che Nuova Delhi ha registrato 1 morto per Covid-19 ogni 14.603 abitanti, mentre Roma uno ogni 1.681.

E poi c’è il fattore tempo. Nel senso che quando si cerca di andare oltre il numero assoluto, spesso si tende a commettere l’errore di confrontare la situazione con quella del giorno precedente. E parlare quindi, a seconda dei casi, di tendenza in aumento o in diminuzione. Posto che le tendenze si valutano su periodi più lunghi, i confronti tra giorni successivi rischiano di risentire di diversi fattori di disturbo. Come il fatto che nel fine settimana si facciano meno tamponi, e quindi si trovino tendenzialmente meno casi. O che possano esserci ritardi nella comunicazione dei dati alla Protezione civile, come purtroppo è accaduto in più di un’occasione in questi mesi.

Per ovviare a questi problemi, è utile ricorrere alla media mobile, ovvero una media calcolata a partire dal dato giornaliero e da quelli di un eguale numero di giorni precedenti e successivi. Il che è esattamente quello che Infodata ha fatto per realizzare questa infografica.

Nella parte alta del grafico (che si aggiorna in automatico quotidianamente, ndr), la linea rossa della media mobile normalizza l’andamento dei contagi, annullando l’effetto delle oscillazioni quotidiane dovute alle ragioni di cui sopra. In quella bassa, invece, il confronto è tra la media mobile dei contagi, sempre rappresentata dalla linea rossa, e il numero assoluto delle persone ricoverate in terapia intensiva.

Elemento, quest’ultimo, da tenere particolarmente sotto controllo per capire la gravità della situazione. Non solo perché il numero dei ricoveri è certo, non dipende cioè da quello dei tamponi effettuati, ma anche perché all’aumento dei casi gravi rischia di seguire un incremento dei decessi. Senza contare che le misure di lockdown nascono per evitare che il contagio cresca finendo per saturare i reparti di terapia intensiva.

Ora, tornando alla questione di partenza, il problema di comunicare il numero assoluto dei contagi non pone esclusivamente un problema di cattiva informazione. Una delle conseguenze è che si rischia di insinuare nei lettori un sentimento di paura. E, questa volta tocca citare il maestro Yoda, «la paura è la via per il lato oscuro».

La conseguenza più grave, però, è che trasforma la discussione sul Sars-CoV-2 in un dibattito politico. Per cui chi sostiene il governo ingigantisce l’andamento i casi, chi si oppone minimizza. Quando il dibattito dovrebbe essere non sulla diffusione del virus, ma sulle misure che il governo adotta per contenerla e di come gestisce il Paese nel frattempo.

Prima di concludere, preveniamo un’obiezione. Relativizzare i numeri del contagio non rappresenta in alcun modo un tentativo di minimizzare i rischi. Se con il filtro posto al centro dell’infografica si selezionano la Sardegna, la Campania e il Lazio, si vede bene come l’andamento dei casi abbia superato quello della scorsa primavera. Fortunatamente, non è così per i ricoveri in terapia intensiva.

Ma proprio per evitare che salgano questi ultimi resta fondamentale continuare a seguire le norme igieniche, osservare il distanziamento sociale e indossare la mascherina, anche all’aperto in quelle regioni che lo hanno previsto. Il senso di questo pezzo, per quel che può valere, è un invito a essere razionali. E non soltanto quando si tratta di numeri relativi ai contagi. Non bisogna dimenticare che il rischio esiste, non è possibile annullarlo ma lo si può ridurre. Più corteccia prefrontale, insomma, e meno amigdala. Ancora una volta, «la paura è la via per il lato oscuro».

Qui gli episodi della “prima stagione” della cronaca critica della diffusione dei dati:
S01E01
So1Eo2
S01E03
S01E04
S01E05

Ultimi commenti
  • Giuseppe Figlia |

    Le funzioni logistiche o somme di Logistiche LogLet e le funzioni legate alla Beta Incompleta seguono meglio della media mobile che comunque è volendo un buon punto di partenza. Credo che chi sta utilizzando modelli molto complessi come il SEIR o altri alla fine si trova in difficolta in quanto il fenomeno è multicausa e segue probabilmente leggi statistiche legate ai gas rarefatti vedi quindi anni 1900-1920 da Planck e Boltzman in poi. Comunque ottimo spunto grazie.

  • Ame |

    Il parametro che permette di confrontare meglio i dati è il numero dei ricoverati in terapia intensiva, o ancor meglio il numero dei decessi che, fino a prova contraria, si mantiene abbastanza costante rispetto al numero dei contagiati. Bisogna però tenere presente che tali numeri sono lo specchio di quello che è accaduto dalle due alle sei settimane PRECEDENTI.

  • Serena |

    Marta,
    Sono d’accordo con la sua osservazione: contestualizzare questi numeri ci aiuta sicuramente a capirli meglio, e credo che ogni tipo di confronto andrebbe fatto tra popolazioni omogenee. Inutile dire (esempio con numeri fittizzi) che ora abbiamo un ricoverato su 1000 positivi mentre a marzo ne avevamo uno su 100, vorrei sapere quanti sono i ricoverati over 60 su positivi over 60 e confrontarli con lo stesso dato di marzo, solo questo mi permette di capire se il trattamento dei malati è migliorato.
    Detto ciò, il punto qui è proprio mostrare che ora siamo in grado di testare anche i soggetti asintomatici o paucisintomatici, e che questo compota la differenza nel rapporto positivi/ricoverati rispetto a marzo, quindi non penso avrebbe molto senso considerare i tamponi fatti sulla stessa popolazione di allora.

  • Emanuele Frati |

    Grazie mille per le informazioni e i dati presentati!
    Una domanda: i numeri di pazienti in terapia intensiva mostrati nei grafici includono tutti i ricoverati (“numeri assoluti” scrive Lei e non capisco se è questo che deve intendersi) o solo quelli positivi al tampone? Credo che sia il secondo caso. E Le chiedo perciò se sia disponibile da qualche parte il dato dei ricoverati in totale in intensiva, e se ci sia qualche confronto statistico con gli anni precedenti.
    Mi sono reso conto che abbiamo già avuto anche in anni recenti altri allarmi di terapie intensive al collasso causa polmoniti in seguito all’influenza, soprattutto in Lombardia ed Emilia Romagna (per esempio gennaio 2018, qui un articolo https://tinyurl.com/vqhmbmt) e mi piacerebbe avere la percezione numerica di quando effettivamente si raggiunge un livello critico col confronto con gli anni passati.

  • Gloria |

    Apprezzo moltissimo il tenore dell’articolo in generale e le precisazioni sull’uso – necessario – della media mobile nel valutare i dati – ma mi sfugge come la media mobile nel secondo grafico possa scostarsi così dai dati giornalieri.

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