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cronaca

Covid-19, cronaca critica della diffusione (dei dati). La mortalità nel “fortunato” novembre del 2019. (Quarta puntata)

Sappiamo che i dati che raccontano la pandemia arrivano in modo incompleto, spesso inconsistente, e con formati e strutture differenti ad ogni rilascio. Un punto fermo, però, sono i morti.  In Italia il 4 maggio ha rilasciato i dati sull mortalità di 6.866  Comuni partendo dalle comunicazioni all’anagrafe nazionale e indicando con precisione il numero di decessi per comune, genere e fascia di età.

Innanzitutto: incomprensibilmente non tutti i Comuni sono presenti. Mancano all’appello poco più di un migliaio ma, anche tra quelli presenti, alcuni valori si fermano a fine marzo (quindi con oltre 30 giorni di ritardo) ed altri a metà aprile. La data di avvio, per tutti, è il 1 gennaio del 2020.

Proviamo a fare delle congetture. Nel primo trimestre di quest’anno, l’incremento totale dei decessi in Italia rispetto alla media dello stesso periodo tra il 2015 e il 2019 è stato di 16.056, almeno in 6.866 comuni.

Alla stessa data, quelli ufficiali per Codiv-19 erano 12.428. Già da questo valore si può intuire come qualcosa non torni e che la contabilizzazione ufficiale sia sottostimata. Ma questo lo sappiamo già.

Interessa però anche capire la dinamica che ha condotto a questo risultato. E sarà ancora più utile in futuro per confrontare il bilancio finale con i risultati di analoghi paesi europei.

Sappiamo, ad esempio, che il numero di decessi (sempre riferito alla stessa percentuale di popolazione) a gennaio e febbraio era stato insolitamente basso: ci hanno lasciato quasi 9mila italiani in meno rispetto alla media degli anni precedenti.

Di solito, durante gli inverni, il numero di morti è maggiore. Anche lo scorso novembre, tuttavia, è stato un mese particolarmente “fortunato”, con livelli di mortalità nettamente minori rispetto al biennio precedente. Ancora non si hanno disponibili i dati relativi a dicembre 2019 (chissà perché, trascorsi quattro mesi), ma almeno a guardare quelli diffusi dall’Iss che riguardano la popolazione anziana, più fragile, si vede come nelle ultime quattro settimane dello scorso anno i valori siano complessivamente inferiori a quelli attesi. Una ipotesi è che una fetta della popolazione, quella più fragile, durante lo scorso inverno abbia resistito meglio del solito alle malattie stagionali. L’alta percentuale di anziani nel nostro Paese e i livelli di mortalità inferiori rispetto agli anni precedenti avrebbero quindi influito sul tasso di mortalità nazionale da Covid-19  in Italia.

Quando avremo i dati definitivi completi dei decessi per le diverse cause tra novembre 2019 e febbraio 2020 potremmo verificare se questa supposizion sia corretta oppure no.

Attenzione, però: questo non giustifica affatto l’intera dinamica. Basta guardare il valore del comune di Bergamo per capire che i 670 decessi di marzo, contro i 128 della media presa a riferimento, rendono ininfluente qualsiasi “risparmio” di vite che si è avuto nelle settimane precedenti. Se quindi facciamo uno zoom sulla mappa osserviamo come in diversi comuni del nord Italia la percentuale di incremento del numero di morti nel periodo tra marzo ed aprile è stata spaventosa, a partire dal record di Gandosso (in provincia di Bergamo) con +3.900%. In cinque province (Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi, Piacenza) si fa fatica a trovare i comuni che non abbiano almeno triplicato questo dato.

Ma è anche vero che queste province, per quanto grandi, rappresentano solo il 5,4% della popolazione italiana e che, grazie anche alle misure di contenimento adottate, questo impatto è stato altrove più limitato. L’Istat stesso, nel suo rapporto elaborato con l’Istituto superiore di Sanità suddivide le province in classi in relazione alla diffusione dell’epidemia. Tra quelle a bassa diffusione troviamo le metropoli del Centro-Sud: non solo Roma e Napoli, anche Palermo, Bari e Cagliari sono tra queste.

Al momento, per un confronto internazionale sulla mortalità stagionale, possiamo fare affidamento a Eurostat, che prende tuttavia in considerazione solo quattro paesi dell’Unione: Belgio, Estonia, Finlandia e Svezia. Troppo piccoli per poter fare un ragionamento generale, eppure la dinamica sembra meno marcata che in Italia: i primi due hanno avuto le ultime otto settimane del 2019 con un numero di morti di poco maggiore rispetto alla media dei quattro anni precedenti, il contrario negli ultimi due. Il barometro di Euromomo, pur non pubblicando i dati in forma strutturata, lascia intuire nei grafici come anche negli altri paesi vi sia stata una dinamica invernale simile a quella italiana, ma non è possibile calcolarne l’intensità e valutarla in modo disaggregato per capire se e come questa possa aver influito nel tasso di mortalità della covid-19.

Quando avremo, tra qualche mese, a disposizione tutti i dati retrospettivi della mortalità, completi per causa effettiva, territorio, classe di età e genere, comparabili con analoghi europei, si potrà valutare se effettivamente la percezione del fenomeno, che emerge da una lettura delle tabelle diffuse, per cui la covid abbia trovato una condizione complessivamente più favorevole per la mortalità, con una popolazione fragile risparmiata da altre malattie stagionali meno aggressive dopo un biennio di inverni miti, sia vera oppure no.