Indica un intervallo di date:
  • Dal Al
politica

Covid-19, il rischio calcolato e gli effetti collaterali. Mettiamoci nei panni di un epidemiologo

Nell’agosto 2006 a Praga si tenne l’assemblea mondiale degli astronomi. Nessuno ricorda quella data, ma ci ha lasciato un’immagine famosa: la sala gremita di mani alzate. Si stava votando per decidere se Plutone dovesse essere o no considerato in futuro un pianeta.

È chiaro che non è la scienza a essere fatta “per alzata di mano”, non è il metodo a essere messo in questione. Si alza la mano per decidere quale indicatore valga più degli altri, quale debba diventare la vera unità di misura.

Per la prima volta dall’inizio dell’emergenza sanitaria Covid-19 in Italia il decisore politico non fa proprie le posizioni  della comunità scientifica, da sempre più scettica in fatto di riapertura. La chiave per capire l’espressione “Rischio Calcolato” usata da Giuseppe Conte per giustificare la riapertura dell’economia italiana non ha come focus la parola “rischio”, ma proprio il suo essere “calcolato”, concetto che nella nostra mente presuppone che suddetto rischio non sia solo “noto”, ma “considerato ai fini della decisione”.

Molte voci stanno sottolineando che non sappiamo chi ha calcolato questo rischio, e soprattutto come. Un’obiezione sacrosanta. Ci si metta nei panni di un epidemiologo: non c’è nessuna evidenza statistica seria che garantisca che le cose non peggioreranno, che i sistemi sanitari non saranno nuovamente subissati, e che non ci sarà una nuova crescita di casi gravi e decessi. Un dato: la Lombardia ha avuto oltre 4000 nuove infezioni nella settimana dal 9 al 17 maggio, dopo due mesi di lockdown. Non ci sono nemmeno evidenze che la fase due (la sua parte transitoria, dal 4 maggio) sia servita a qualcosa, dal momento che se una persona si fosse infettata in piena fase 2, diciamo il 13 maggio, probabilmente il 18 maggio inizierebbe a sentire qualche sintomo, ma i suoi congiunti, incontrati – poniamo il 15 maggio – starebbero probabilmente godendosi ignari il tepore maggiolino. Doveva essere disponibile la app di tracciamento, ma al 21 maggio ancora non si vede alcuna novità all’orizzonte.

Tuttavia qui la questione è un’altra: l’arbitro non è più l’epidemiologo, o lo scienziato in generale. Qualsiasi previsione statistica assume meno rilevanza quando si è deciso che l’unità di misura è l’economia del breve periodo. Lo Stato italiano riconosce e tutela nella sua costituzione il diritto alla salute, in modo legittimo sabato ha però scelto di garantire la salute del sistema economico collettivo. Non è necessariamente una scelta sbagliata, ma deve esserci chiaro che è una scelta arbitraria per uno scienziato ma politica nella sostanza.

In politica ci sono situazioni in cui non è possibile salvare capra e cavoli, e il dilemma etico non va banalizzato. Ma qui si teme che questo gran rifiuto non salverà nemmeno i cavoli: sappiamo che c’è la possibilità che le cose vadano ancora male, e in quel caso si torna indietro, si richiude.

Sarà responsabilità dei cittadini essere responsabili. Il problema è che abbiamo riaperto tutto senza che i cittadini sappiano dove davvero il rischio di contagio è maggiore. A parte le case di riposo e gli ospedali, che sappiamo sono state fucine di contagi, a oggi non sono stati resi disponibili dati su dove le persone si siano contagiate, né all’inizio dell’epidemia, né durante i due mesi di lockdown, né in queste settimane che stiamo vivendo, che rende complesso capire dove si è più a rischio: al bar, dal parrucchiere, in casa o con il congiunto? Intanto, di nuovo, abbiamo 4000 casi rilevati nella sola Lombardia in una settimana e i cittadini non sanno dove e quando si siano contagiati. A ben vedere i cittadini lombardi non sanno neppure quanti fra i nuovi casi registrati nella propria provincia, o ATS, sono riferiti alle RSA o al territorio.

Il rischio c’è, ma non è calcolato. Se da una parte si impongono giusti limiti notevoli agli esercizi commerciali (sanificazioni, gel, distanziamento), non viene posto un freno effettivo, quantitativo, agli incontri sociali fra persone nelle loro case. Anche qui, è matematica: secondo quale calcolo si dice no agli assembramenti di 20 persone, se poi vige piena libertà di movimento individuale? Poniamo che ognuno di noi domani veda 2 amici, singolarmente. Ognuno di loro il giorno dopo ne vedrà 2 diversi, e ognuno di loro ancora altri due diversi, e via dicendo per una settimana. Si tratta di 254 persone coinvolte, oltre a me, se solo mi limito a vedere due amici un giorno soltanto. Nel frattempo io però, già il secondo giorno potrei aver incontrato altri due amici nelle loro case, diversi da quelli del giorno prima, che a loro volta avrebbero incontrato altre persone nella loro casa i giorni successivi. Senza contare i conviventi, che a loro volta potrebbero vedere amici. È chiaro che si tratta di una situazione schematica, ma dà un’idea di che cosa significhi una rete sociale non controllata, e un rischio calcolato, qualora non fossero garantiti il distanziamento fisico e le misure igieniche.

Ah, nel 2006 ha vinto il no: Plutone da 14 anni non è più un pianeta, è stato declassato a “pianeta nano”. Ma anche se tolto dai libri sempre lì resta, identico a prima.