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economia

A New York Airbnb ha occupato Manhattan. I grafici del decennio

Sono passati ormai dodici anni dalla nascita di Airbnb che, con la sua formula innovativa, in un certo senso ha rivoluzionato il modo di alloggiare di parecchi viaggiatori (e non solo) decisi ad affidarsi ad un sistema alternativo rispetto alle tradizionali sistemazioni.

Il meccanismo che permette (generalmente a privati) di affittare camere anche per brevi periodi, nel corso di quasi un decennio si è diffuso a macchia d’olio su tutto il globo, arrivando a generare un fatturato sull’ordine dei miliardi, per la precisione 2,6 relativamente all’anno 2017.

Come spesso accade però, anche questo modello ha avuto origini decisamente più umili rispetto allo status su cui oggi si è assestato, visto che nacque quasi per caso, figlio più di un’esigenza che di una visione vera e propria.

Nel 2007, Brian Chesky e Joe Gebbia – i due fondatori originali a cui si è poi aggiunto anche Nathan Blecharczyk – trasferitisi a San Francisco faticavano a pagare l’affitto quando, in concomitanza di un evento (Industrial Design Society of America) che aveva esaurito la disponibilità delle camere negli hotel, decisero di pubblicare un annuncio col quale mettevano a disposizione dei posti letto a casa loro, offrendo anche la colazione per il mattino successivo.

Acquistando qualche materasso gonfiabile da sistemare in una stanza e avvalendosi di un semplicissimo sito internet, nacque l’operazione ribattezzata Airbed & Breakfast, prototipo embrionale di quello che sarebbe diventato Airbnb.

Tutto bellissimo ed happy ending? Quasi. Se da un lato le possibilità di affittare (parte di) un locale si sono moltiplicate, dando modo a diverse persone di arrotondare i propri introiti, dall’altro c’è chi si lamenta su svariati punti di vista.

Fra le accuse più ricorrenti spicca l’acceso dibattito sul mancato rispetto di alcune normative che minerebbero la legalità di parte degli annunci, a cui però Airbnb spesso ha risposto ricordando che il loro è un servizio di vetrina e che quindi i veri colpevoli, nel caso specifico, sarebbero i locatari.

Da Parigi a Barcellona, passando per Amsterdam sono numerosi gli episodi di vere e proprie rivolte condotte perfino dai primi cittadini. E’ capitato in Francia con Anne Hidalgo o in Spagna con Ada Colau, entrambe unite sul fronte della lotta all’illegalità che colpisce specialmente chi invece continua ad affittare in maniera tradizionale o chi, per contro, non riesce più a trovare una sistemazione continuativa perché l’offerta si rivolge prevalentemente alle soluzioni di qualche giorno.

Anche allontanandosi dall’Europa, se i più itineranti continuano a vedere in Airbnb una risposta più economica alle classiche soluzioni alberghiere, ci sono poi gli scontenti che, come nel caso di New York, lamentano un rincaro negli affitti “tradizionali” proprio per colpa della piattaforma che ha rivoluzionato il mercato.

Più di una volta Airbnb ha replicato a queste accuse “newyorkesi” sottolineando come la maggioranza degli “host” affitta solo delle stanze negli immobili di proprietà dove continua ad abitare, aprendo le porte a turisti e viaggiatori d’affari di passaggio.

Ed ecco che su questo punto, interveniamo noi di Infodata a cui piace più guardare i numeri che alimentare diatribe, specialmente sulla Grande Mela. Nell’infografica interattiva che segue, sono stati riportati tutti gli alloggi disponibili a New York via Airbnb che hanno ricevuto almeno una visita durante il 2019. 
Nel dettaglio, la mappa su cui sono riportati tutte le soluzioni è filtrabile per distretto, quartiere, tipologia di affitto e categoria basata sulle notti minime di permanenza. 
In aggiunta, al passaggio del mouse su un immobile (o click da mobile) si attiva un pop-up in cui vengono riportati sia i dettagli della sistemazione, sia uno zoom della mappa che al click sul segnalino di innesco, lo renderà più evidente nella mappa zoomata rispetto a quelli presenti nelle sue vicinanze.

 In questo data tour che ci conduce all’interno di NY, il primo dettaglio che appare evidente è come il primato tra il numero di alloggi sia una gara a due tra Manatthan e Brooklyn distanziate da poco meno di millecinquecento unità su valori superiori ai ventimila (rispettivamente 21661 e 20104, rappresentati in grafico su scala logaritmica).

Decisamente più staccati gli altri tre distretti con il Queens che presenta comunque oltre cinquemila soluzioni (5666), mentre il Bronx supera di poco quota mille (1091) e Staten Island chiude come fanalino di coda a quota 373.

Tornando velocemente su uno dei punti sollevati dalle varie diatribe, ossia la percentuale di alloggi che vengono destinati interamente all’affitto “bypassando” lo spirito iniziale promosso da Airbnb, sembrerebbe che ci sia un sostanziale equilibrio nei numeri.
I 25409 immobili affittati nella loro interezza sono solo di poco superiori alla somma delle altre due soluzioni, rappresentate in maggioranza dalle camere private (22326) rispetto a quelle condivise (1160), che si assesta poco al di sotto dei 24 mila casi.

Forse, per provare a scovare qualche ulteriore indizio di rilievo, potrebbe essere utile il fattore permanenza legato al numero di notti minime di soggiorno.

Riportato originariamente con i singoli valori degli alloggi (visualizzabili nei pop-up di dettaglio), nell’istogramma in giallo il dato della permanenza minima è stato raggruppato in quattro macro categorie per avere una visione più di insieme.

Quasi l’ottanta per cento degli annunci fa riferimento a proposte per le quali il soggiorno può durare anche meno di sei notti (38752), con il restante venti percento che si divide tra 5-10 giorni (3503) e il tetto minimo che può arrivare fino ad un mese (5893); decisamente meno rilevante dal punto di vista numerico il residuo di 747 casi per cui non c’è accordo al di sotto dei trenta giorni.

Per chi fosse interessato a proseguire nel nostro data tour navigando tra i vari quartieri della Grande Mela, segnaliamo che i più ricchi dal punto di vista della numerosità degli annunci sono situati a Brooklyn, che può vantare tre delle prime cinque posizioni della classifica cittadina.

Williamsburg, noto quartiere di tendenza e collegato a Manhattan dall’omonimo ponte, è il primo quartiere della lista forte di ben 3920 soluzioni, seguito poi da Bedford-Stuyvesant (3714) collocato subito più a sud sempre nell’area di Brooklyn, e dal rinomato Harlem che invece con oltre 2600 alloggi figura primo per quanto riguarda la zona di Manhattan.

Per gli altri distretti invece, decisamente più staccati rispetto alle prime posizioni della classifica complessiva, Astoria figura come quartiere più rappresentativo del Queens (900), così come Kingsbridge nel Bronx e St. George per Staten Island.