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tecnologia

Medici, Asl e ospedali: perché la sanità italiana deve imparare a usare i social

Saper comunicare in sanità è importante e i social media sono uno strumento imprescindibile oggi, ma in Italia non sono molte le Aziende Sanitarie ad averlo capito. Secondo quando emerge dal Rapporto OASI 2018 dell’Università Bocconi in collaborazione col CEDAS, in un sondaggio condotto su 51 fra Aziende Sanitarie Locali (ASL), Aziende Ospedaliere (AO) e Ospedaliero Universitarie (AOU) e Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), 18 non sono presenti per nulla sui social media, nemmeno su Facebook. Ma solo 3 delle 51 aziende sono presenti su Instagram, il social più in voga oggi fra i più giovani.
Al primo posto troviamo Facebook, scelto da 33 aziende su 51, cioè il 65% del campione, al secondo posto YouTube (adottato in 21 aziende), seguito da Twitter (15) e LinkedIn (14). Solo 4 aziende utilizzano piattaforme di blogging.
In ogni caso avere un account social non basta se viene utilizzato a senso unico, cioè come la versione digitale della vecchia bacheca di sughero dove affiggere le comunicazioni di servizio. Il vero valore aggiunto dell’utilizzo dei social media in sanità è rappresentato dalla possibilità di fare prevenzione, promozione della salute ma soprattutto di interagire con la popolazione. Tuttavia sono poche le aziende che utilizzano i social media in questo senso. Colpisce infatti un’impronta ancora molto caratterizzata dall’approccio di «comunicazione» in senso stretto Sebbene risultino più diffuse le finalità di informazione su temi legati alla salute (ad esempio, dando agli utenti indicazioni e consigli su stili di vita sani o sull’alimentazione) e quelle di pubblicazione di contenuti specifici sulle attività svolte dall’azienda, solo 5 usano i social per raccogliere feedback sull’esperienza dei pazienti e 3 mettono in comunicazione questi ultimi con specialisti.
Poche sono le aziende che pensano a contenuti specifici per l’online – meno di una su quattro fra chi usa i social – e non deve stupire, dal momento che sono rari i casi in cui i social sono gestiti da una figura professionale competente in materia. Il più delle volte si tratta di dipendenti che già svolgono altri compiti all’interno della struttura e a cui viene chiesto di alimentare il profilo. Questi elementi portano a ipotizzare che, anche nei casi in cui la presenza aziendale sui social media sia una realtà sempre più diffusa, non sempre esiste una strutturazione delle attività che specializzi più persone sulla gestione di questi canali e che essa sia parte delle attività di comunicazione d’azienda insieme ad altre (ad es. l’ufficio stampa).
Un ulteriore elemento importante emerso nel sondaggio è che non si riscontra la presenza di attività di analisi e di inclusione delle informazioni e dei feedback raccolti tramite social media all’interno dei processi decisionali aziendali. Nessuna azienda fra quelle esaminate fa ricorso a sistemi di analytics e reporting strutturati che permettono di raccogliere e analizzare in modo completo e sistematico le informazioni provenienti dai social. Solo il 23% delle aziende che dichiarano di effettuare analisi dei dati utilizza strumenti appositi, come ad esempio elaborazioni in Excel, o strumenti ad hoc come Google Analytics o Hootsuite, mentre il restante 77% non utilizza alcun tool dedicato.
Il 50% delle aziende intervistate dichiara di analizzare solo alcune informazioni e il 21% tutte le informazioni raccolte sui social, ma in entrambi i casi in modo non strutturato, Il 4% analizza solo alcune informazioni, ma in modo strutturato, mentre il rimanente 25% utilizza i social senza analizzare nulla di quanto raccoglie, rendendo impossibile, di conseguenza, valutare la qualità e l’efficacia dell’utilizzo dello strumento come valore aggiunto. Ed è un’enorme occasione persa.

Articolo pubblicato il 1 gennaio 2019