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cronaca

Brexit e brain exit. L'impatto economico degli studenti sulla città di Londra

All’indomani del voto sulla Brexit, le maggiori istituzioni universitarie inglesi e il giovane ministro del partito conservatore Jo Johnson (con studi a Bruxelles e Parigi) hanno cercato di rassicurare gli studenti europei sulla possibilità di continuare, alle stesse condizioni, gli studi accademici nel Paese anche dopo i risultati del referendum. Il ministro dell’Università e delle Scienze ha pubblicato sul sito del governo una dichiarazione ufficiale per cercare di chiarire la situazione: “Non ci sarà nessun cambiamento immediato per i giovani che studiano e i professori che lavorano negli atenei inglesi (Eramus e Horizon 2020) nel breve periodo: sono assicurati sia i prestiti in corso fino alla scadenza, sia quelli del 2016/2017”. Anche se per i prossimi due anni non dovrebbero esserci scossoni significativi dopo queste periodo di transizione nessuno sa quale sarà l’effetto delle contrattazioni tra Gran Bretagna e Unione Europea sul mondo accademico. Il pericolo e non è solo per il danno sulla probabile fuga di cervelli (a causa dei cambiamenti probabili nell’erogazione di prestiti d’onore all’aumento delle tasse di iscrizione) ma anche e soprattutto economico per lo stesso Paese.  Secondo un recente report di  London & Partners gli studenti internazionali contribuiscono per 3 miliardi di sterline all’anno alle entrate della sola Londra, e sostengono il lavoro di 37mila addetti nell’indotto.  Anche se il contributo maggiore viene dato dai giovani americani e cinesi (33000 sterline all’anno per studente) anche i ragazzi europei concorrono con una spesa annua di 23mila sterline (per tasse universitarie, vitto e alloggio e contributo di parenti e amici in visita).