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economia

Lo smart working fa bene alla salute mentale. Il primo studio ventennale (che non considera gli anni di pandemia)

Uno studio condotto su oltre 16.000 lavoratori australiani fornisce nuove evidenze sui benefici dello smart working, rivelando un effetto particolarmente positivo per le donne (meno per gli uomini), soprattutto per chi parte da condizioni di salute mentale più fragili. L’analisi è basata su dati ventennali della Household, Income and Labour Dynamics in Australia Survey (HILDA).
Un elemento fondamentale è che i ricercatori hanno escluso dall’analisi i due anni iniziali della pandemia di COVID-19 per evitare che fattori straordinari influenzassero i risultati. Grazie all’uso di modelli panel con “home-job fixed effects”, sono stati isolati gli effetti dello smart working e del pendolarismo da altri shock personali, come cambi di lavoro o trasferimenti, permettendo di osservare come la salute mentale evolvesse in relazione alle modalità di lavoro. L’analisi ha evidenziato ad esempio che il tempo di pendolarismo non ha effetti significativi sulla salute mentale delle donne, mentre per gli uomini con fragilità psicologica un aumento del tragitto giornaliero può ridurre il benessere mentale, seppure in maniera quantitativamente modesta.

Che tipo di smart working funziona meglio?

Il dato più rilevante riguarda però lo smart working. Le donne con livelli di salute mentale considerati bassi (secondo una serie di indicatori uguali per tutti) mostrano miglioramenti significativi quando lavorano da casa per metà o tre quarti del tempo. Questo beneficio supera di gran lunga l’effetto della riduzione dei tempi di pendolarismo e sembra derivare da una combinazione di fattori: maggiore autonomia, riduzione dello stress da ufficio e migliore conciliazione tra lavoro e vita familiare. I dati indicano inoltre che la modalità mista, con alcuni giorni in ufficio, è più vantaggiosa rispetto al lavoro esclusivamente da casa. Lavorare occasionalmente da remoto, invece, non produce effetti significativi, mentre il lavoro completamente da casa era ancora poco diffuso tra le donne nel periodo analizzato.

Capiamo le differenze di genere

Le differenze di genere riscontrate non sorprendono. La divisione diseguale dei compiti domestici e di cura, che ricade soprattutto sulle donne, limita la loro mobilità spaziale e aumenta l’interesse per modalità di lavoro flessibili o da casa. Inoltre, la struttura del mercato del lavoro accentua queste differenze: le donne sono sovrarappresentate in lavori part-time o nel settore privato con limitata possibilità di telelavoro, mentre gli uomini occupano più spesso ruoli tecnici a tempo pieno compatibili con lo smart working. Anche le percezioni dei datori di lavoro e le culture organizzative possono amplificare queste disuguaglianze, stigmatizzando il lavoro flessibile o associandolo a minore impegno, con effetti sproporzionati sulla carriera femminile.

Il discrimine sono i servizi

Anche i costi e la disponibilità di servizi di cura influenzano l’impatto dello smart working. In Australia, i sussidi per l’infanzia sono più universali e accessibili che nel Regno Unito – il secondo paese esaminato nello studio come termine di paragone – riducendo il peso dei tempi di pendolarismo sulle donne e potenzialmente amplificando i benefici del lavoro da casa. Al contrario, gli uomini australiani possono essere più sensibili agli effetti del pendolarismo a causa dell’uso prevalente dell’auto e dei fattori di stress associati al traffico. Inoltre, l’accesso limitato ai servizi di salute mentale, combinato con la riluttanza degli uomini a riconoscere i problemi psicologici, può spiegare perché gli effetti negativi del commuting emergano soprattutto tra gli uomini con salute mentale già compromessa.

Come e quanto funziona lo “smart” in Italia nel 2025

Una ricerca del Politecnico di Milano, realizzata in collaborazione con Doxa, conferma che lo Smart Working in Italia è ormai una realtà consolidata, lontana dalle disposizioni di emergenza del periodo Covid. Nel 2025, circa 3,57 milioni di lavoratori operano almeno in parte da remoto, registrando un incremento complessivo dello 0,6% rispetto all’anno precedente. L’aumento più significativo riguarda il settore pubblico (+11%), con 555.000 dipendenti in smart working, pari al 17% del totale, mentre nelle grandi imprese lavora da remoto il 53% del personale (+1,8%). Al contrario, nelle PMI e nelle microimprese il lavoro da remoto si riduce sensibilmente (-7,7% nelle PMI, -4,8% nelle microimprese), spesso gestito in maniera informale con accordi diretti tra lavoratori e responsabili.
Oggi, lo Smart Working in Italia si struttura prevalentemente secondo il modello ibrido, che alterna lavoro in sede e da remoto in base a policy e linee guida organizzative. Nelle grandi imprese il 95% ha adottato iniziative di Smart Working, mentre nel settore pubblico la percentuale raggiunge il 67%, con progetti sempre più strutturati. Tra le PMI la diffusione rimane più limitata (45%) e l’approccio è spesso flessibile e informale.

L’adozione dello Smart Working si accompagna a un utilizzo costante da parte dei lavoratori. Nelle grandi imprese solo il 15% utilizza meno giorni di quanto previsto dall’accordo, mentre nelle PA la percentuale sale al 28%, principalmente per scelte personali. Tra le PMI la situazione è più eterogenea: circa metà dei lavoratori rispetta i giorni previsti dagli accordi, il 22% ne usa di meno e il 15% ne usa di più grazie alle deroghe possibili.

Il modello più diffuso, quello ibrido, può essere applicato in modi diversi: il 36% dei lavoratori sceglie autonomamente i giorni di presenza (approccio individualista), il 32% segue indicazioni dall’organizzazione (approccio centralizzato) e il 32% bilancia esigenze individuali e organizzative (approccio collaborativo).

Si può fare meglio

Nonostante la diffusione, lo Smart Working non ha ancora raggiunto il suo potenziale massimo. Tra coloro che non lavorano da remoto, il 21% dichiara di poter svolgere almeno metà delle attività fuori sede, suggerendo un potenziale di circa 3 milioni di nuovi smart worker, avvicinandosi ai picchi di 6,5 milioni registrati durante la pandemia. Inoltre, cresce l’interesse per forme di flessibilità oraria, come la settimana corta, ancora presente solo in circa il 10% delle grandi organizzazioni.
Lo Smart Working può dare i suoi migliori risultati solo se affiancato a politiche più ampie di supporto alle famiglie. Questo significa investire nel potenziamento dei servizi per l’infanzia e per la cura degli anziani, e garantire una reale flessibilità degli orari di lavoro sia per uomini sia per donne. In questo modo, la gestione della vita familiare non ricade esclusivamente sulle donne, ma diventa una responsabilità condivisa, rendendo il lavoro agile uno strumento efficace di conciliazione e benessere per tutti i membri della famiglia.

Per approfondire. 

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