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Biodiversità, ecco i 23 obiettivi che il mondo deve raggiungere entro il 2030

Il 22 maggio si festeggia (per modo di dire) la giornata mondiale della biodiversità. Come sa bene chi legge questo blog c’è davvero poco da festeggiare. Quest’anno però

Quest’anno la Giornata mondiale della biodiversità 2023 ha un significato particolare. È la prima ricorrenza dopo che è stato siglato l’accordo di Kunming-Montréal sulla biodiversità alla Cop15 lo scorso dicembre. Precisamente il 19 dicembre del 2022 la Conferenza delle Parti (COP15) della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica (CBD) ha adottato il Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (GBF) che si articola in  23 obiettivi che il mondo deve raggiungere entro il 2030.  Qui trovate le 22 Azioni per la Biodiversità

E ora una serie di grafici, mappe e notizie raccolte nell’ultimo anno.

Il mondo sta perdendo 10 milioni di ettari di foresta ogni anno a causa della deforestazione, più o meno quanto la superficie dell’Islanda, la seconda isola più grande d’Europa. Questo solo per cominciare perché parliamo di Forests and Health, Foreste e Salute. Questo il tema per il 2023 dichiarato da parte delle Nazioni Unite che sottolineano come le foreste, pur giocando un ruolo cruciale nella lotta alla povertà e nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals) grazie ai loro impagabili benefici ecologici, economici e sociali, sono sempre al centro di pericoli derivanti da incendi, parassiti, siccità e soprattutto deforestazione senza precedenti.

In occasione della giornata internazionale delle foreste, indetta per la prima volta nel 2012 dall’assemblea generale dell’ONU, anche noi della redazione di InfoData vogliamo dare il nostro contributo per sensibilizzare maggiormente verso un tema che non può che stare a cuore ad ognuno di noi.

Per farlo ci siamo serviti dei dati messi a disposizione all’interno del Global Forest Resources Assessment del 2020 pubblicato dalla FAO nella cui introduzione viene appunto ricordato come la selva che ci circonda sia una risorsa di cibo, medicine, biocarburante per più di un miliardo di persone, oltre a proteggere suolo ed acqua, ospitando circa tre quarti della biodiversità mondiale, senza dimenticare l’aiuto costante nell’affrontare il cambiamento climatico.
Le rilevazioni numeriche prese in considerazione forniscono una fotografia per le ultime tre decadi che,
osservate su scala mondiale, raccontano di una perdita complessiva pari 178 milioni di ettari (paragonabili alla superficie della Libia, per avere un ordine di grandezza) rispetto ai 4 miliardi totali che rappresentano circa il 31% di tutta la parte emersa del globo.
Sebbene il dato sia tutt’altro che incoraggiante, ci sono segnali di una contrazione nel ritmo con cui avviene questa perdita visto che si è passati dai 7,8 milioni di ettari persi per anno del decennio 1990-2000, ai 5,2 del 2000-2010, fino ad arrivare ai 4,7 dei primi dieci anni del nuovo millennio, grazie alla riduzione della deforestazione incontrollata di alcuni paesi e all’opera contrapposta di imboschimento, unita all’espansione naturale delle foreste.

Prima di approfondire i dettagli dei singoli paesi, restando su scala globale va ricordato che quando si parla di foresta non si fa riferimento ad un’unica tipologia proprio per via della diversità climatica presente sul nostro pianeta che può essere classificata in quattro categorie con relative proporzioni di ingombro sulla superficie totale: tropicale (45%), boreale (27%), temperata (16%) e subtropicale (11%).
Analogamente, anche la gestione del verde forestale è soggetta a fattori amministrativo-gestionali che
differiscono parecchio a seconda dei continenti in cui si trovano, con le conseguenti differenze a livello
decisionale e di politiche atte al controllo della loro salvaguardia.
Per avere un esempio pratico, basti pensare che se in Europa il 90% delle foreste è di pubblica proprietà, in Oceania si registra una sostanziale bilancio tra pubblico e privato, mentre nei due continenti americani la proprietà pubblica è poco sopra al 60% in entrambi casi, delineando uno quadro globale secondo cui poco meno di tre quarti delle foresta è pubblica.
Ma volendo poi addentrarci nel dettaglio delle singole nazioni, quelle che seguono sono tre sfaccettature
della stessa fotografia che abbiamo voluto declinare secondo le rilevazioni in merito all’estensione delle
foreste

 

Avendo attributo un gradiente che spazia dal rosso (valori negativi) al verde (valori positivi) in funzione della variazione percentuale riscontrata tra il 2020 ed il 1990, appare evidente come la tendenza trentennale abbia una distribuzione abbastanza circoscritta a livello continentale.

Sembrerebbe appunto che ci siano due continenti, come America ed Africa, nei quali si è assistito ad un
impoverimento della superficie forestale su quasi tutto il territorio, fatta eccezione per il Nord Africa da una parte e dal terzetto composto da Uruguay (+154%), zona caraibica, e Cile (19,4%) dell’altra, con gli Stati Uniti che restano in positivo ma solo per pochissimi punti percentuali (+2,4%).
L’Europa risulta essere invece una zona piuttosto felice da questo punto di vista, con solo tre casi caratterizzati da valori negativi, vale a dire Portogallo (-2,6%), Bosnia ed Erzegovina (-1%) e Svezia (-0,3%), ma comunque in un range che non supera i tre punti di “rosso”.
Per contro, l’Asia presenta uno scenario più eterogeneo, alternando regioni con notevoli variazioni positive, vedasi il caso della Cina (+40%) o del Viet Nam (+56,2%), ad altre in cui il bilancio è decisamente meno incoraggiante come dimostrano i dati di Myanmar (-27,2%) ed Indonesia (-22,3%).
Ad ogni modo, per mettere in prospettiva sia la variazione percentuale che l’estensione assoluta delle
foreste per ogni nazione, nel grafico che segue ci concentreremo su entrambi gli aspetti.
Per farlo nella mappa, il colore sarà sempre associata alla variazione percentuale riscontrata nei 30 anni
analizzati, mentre la dimensione del cerchio sarà data dall’estensione rilevata nel 2020.

 

Con un taglio che ponga enfasi anche sui “volumi”, ecco quindi che la perdita complessiva registrata negli ultimi tre decenni assume un contorno più delineato, banalmente concentrandoci sui paesi dalle bolle più grosse. La Russia ad esempio, pur avendo fatto rilevare una variazione positiva (+0,8%), nonostante una superficie di oltre 815 milioni di ettari, non è sufficiente a contrastare la diminuzione avvenuta nella seconda nazione per “volumi” – il Brasile (496 milioni) – dove l’estensione delle foreste si è ridotta di quasi 16 punti percentuali.
Allo stesso modo, se la già citata Cina rappresenta un caso di crescita percentuale abbinata ad un valore assoluto di primissimo piano (220 milioni), non si faticano a trovare casi complementari per i quali a fronte di estensioni importanti sono poi associati cali percentuali allarmanti, come nel caso di della Repubblica democratica del Congo (126 milioni, -16,2%) o dell’Indonesia (92 milioni, -22,3%).
In fin dei conti però la superficie forestale è comunque in buona parte legata a quella della nazione di
riferimento e, di conseguenza, paesi di estensione diversa avranno chiaramente numeri poco paragonabili, così come potrebbero essere poco confrontabili le varie nazioni disposte sulla mappa, specie se molto distanti le une dalle altre.
Per questo motivo, in modo da tirare le somme e avere maggiore distinzione fra (molto) “buoni e cattivi”,
nell’ultimo grafico abbiamo deciso di mostrare i migliori ed i peggiori paesi dal punto di vista della variazione percentuale 2020 contro 1990, mantenendo lo stesso concetto cromatico per cui i primi figureranno in verde (sulla destra) mentre i secondi saranno raffigurati in rosso (sulla sinistra), riportando comunque anche il dettaglio dell’estensione registrata al 2020 come spessore dei grafici a barre arrotondati.

 

Partendo da sinistra, quindi dal lato dei paesi con la peggiore variazione percentuale, troviamo Costa
d’Avorio (-63,9%), Saint Pierre e Miquelon (-50%), Nicaragua (-46,7%), Niger (-44,5%) e Gambia (-41,4%), tutti con valori addirittura inferiori alla soglia del -40%, con la sola “consolazione” legata al fatto che quantomeno sono nazioni piuttosto piccole e con un’estensione forestale conseguentemente contenuta (Nicaragua 3,4 milioni di ettari).

Sul fronte opposto invece, in cima alla classifica dei paesi che hanno visto intensificare il verde forestale troviamo la coppia formata da Capo Verde (+206,7%) e dall’Islanda (+200%), seguite poi da Uruguay (+154,5%), Kuwait (+100%) come uniche realtà in cui si è registrato almeno un raddoppio dei valori di riferimento del 1990.
Anche in questo caso, i valori estremi sono accomunati dall’essere riferiti a foreste di estensione tutto
sommato ridotte il cui valore più alto è quello dell’Uruguay (2 milioni di ettari) visto che per trovare una
superficie forestale superiore ai 10 milioni di ettari bisogna “scendere” almeno in settima posizione dove si trova il Viet Nam. In questo quadro, sul lato “verde” dei grafici troviamo una nota molto lieta per quanto ci riguarda da vicino visto che l’Italia figura al sedicesimo posto grazie ad un incremento del 26% su una superficie totale di poco meno di dieci milioni di ettari rilevati nel 2020.

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Parliamo di biodiversità. L’aumento dell’inquinamento e la continua distruzione degli habitat naturali del mondo da decenni sta mettendo a rischio  numerose specie animali. Pensate a quanto accaduto con la distruzione delle foreste pluviali e delle barriere coralline che hanno messo in pericolo più di 10.000 delle circa 74.000 specie di vertebrati conosciute. Secondo la Lista rossa dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) , 42mila specie animali rischiano l’estinzione nel 2022, con un aumento di circa 9.000 rispetto a 15 anni fa.

I dati sono del dicembre 2022, e qui sotto trovate la tabella estratta dal report con il dettaglio

La crescita di questi numeri può essere attribuito a un numero sempre maggiore di specie valutate nel corso degli anni. Erano 4.863 specie di mammiferi nel 2007 contro 5.973 nel 2022 . Statista ha realizzato questa Racing Bar per mettere questi numeri in prospettiva mostrando la quota di specie minacciate rispetto alle specie animali valutate in generale e raggruppandoli per classe. Pesci, insetti, molluschi e altri crostacei sono esclusi poiché, secondo l’IUCN, la copertura non è sufficiente per consentire una stima solida dell’effettivo sviluppo della biodiversità.

In percentuale sono gli anfibi a rischiare di più: il 34,8% delle specie valutate è a rischio di estinzione nel 2022, con un aumento di oltre il 4% rispetto al 2013. Tuttavia, più di un quinto delle specie di mammiferi sia a rischio di estinzione , che rappresenta un aumento di quasi il due percento rispetto al 2008.

La Lista Rossa IUCN è stata fondata nel 1964 e rappresenta una risorsa cruciale per responsabili politici, ricercatori e giornalisti nella valutazione della biodiversità globale e degli sforzi di conservazione .

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