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Come si scrive un libro con l’intelligenza artificiale? #ungraficoeunlibro

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Qualcuno lo ha definito «un LSD senza effetti collaterali», ma l’idea di un innocente gioco lisergico non ne restituisce la natura. Non siamo mai stati sulla terra è molto più di un esperimento linguistico prezioso e colto. Il libro di Rocco Tanica è un intreccio letterario di ironia e lirismo, una suggestiva sintesi di ispirazione e caso, il caso ricondotto nei ranghi della sensatezza dagli algoritmi probabilistici di questa ’intelligenza artificiale’ che ci meraviglia con l’esibizione (forse) innocua della sua coscienza simulata. Cosa troverete in questo libro? Veterani dell’esercito con passioni inconfessabili e rose con il dono della favella; personaggi illustri, come Giovan Battista Milano, immaginario fondatore del capoluogo eponimo, e Riccardo Torredipisa, inventore – storico o leggendario? – della dentiera di carta. E poi ircocervi come il Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica; la vera storia dei Beatles e una silloge di indimenticabili haiku, opera originale del «marchingegno». E ancora, interviste al mare, a Dio, al cinema pornografico («Fossi il cinema sentimentale mi occuperei di carezze rubate e dolci malinconie. Ma sono il cinema pornografico, incarno l’avventura») e intriganti pseudocitazioni, che intarsiano qui e là le pagine di questa eccentrica e spassosa Wunderkammer letteraria. Ne ho chiacchierato con l’autore.

 

 

La prima domanda riguarda la genesi del libro, l’origine di un’idea che pare oggi tanto singolare – chissà domani? – e i modelli letterari cui ti sei ispirato. Te lo avranno chiesto una dozzina di volte almeno, ma è il contrappasso da espiare quando si pubblica un libro di successo.

 

Il libro durante la pestilenza del 2020. Mentre lottavo con i monatti che volevano portarmi al Lazzaretto o al camposanto – a me parevano soluzioni eccessive, avevo solo molta tosse – mi cadde l’occhio sulla piattaforma social di noi giovani, Tik Tok. Tra filmati di signore che danzavano, istruzioni per costruire un trapano in casa e frammenti di televisione nigeriana mi cadde l’occhio sul dibattito tra una docente di linguistica e un esperto informatico che dibattevano la crescente “ingerenza” dell’intelligenza artificiale nella produzione di testi. Si parlava di GPT3, modello di linguaggio particolarmente evoluto e affidabile. Uno dei primi siti web a implementarlo era Shortlyai.com. Mi iscrissi per la famosa prova gratuita, quella che ti fa prendere il vizio; i risultati, per quanto imprevedibili e spesso assurdi, mi sembrarono in linea con certe storie che avevo in mente (una serie di racconti surreali ispirati all’opera dell’autore russo Daniil Charms). Ne rimasi conquistato; nel giro di mezz’ora ero al lavoro: avevo deciso di mettere insieme il primo libro scritto da un essere umano (più o meno) in cooperazione con un’intelligenza artificiale.

 

 

Perché proprio un libro e non invece una canzone o addirittura un intero album assieme a un qualche robot compositore?

 

Mi sono accorto da subito che i versi, il metro poetico e i canoni a cui è bene attenersi per scrivere canzoni non erano pane per i denti dell’IA (un problema su tutti: GPT3 non era in grado di fare le rime o di mantenere uno stile costante); il materiale risultava goffo, poco ispirato, e al di là di qualche suggerimento efficace il prodotto lasciava davvero a desiderare. Con GPT4 le cose non sono migliorate di molto. Insomma, meglio la prosa in formato tascabile (racconto sì, romanzo meglio di no, almeno per me).

 

 

Il lirismo – non esagero – e l’eloquio ‘fiorito’ di alcuni passi del libro ne fanno una piccola gemma letteraria (penso, ad esempio, al paragrafo centrale L’ombrello, che si conclude con una affascinante citazione – o pseudocitazione? – di Nerval). Allora ti domando: questo libro è solo un esperimento di scrittura e un divertissement o è qualcosa di più?

 

È un esperimento nato alla cieca e sviluppatosi – a seconda dei casi – come saggio, esercizio di stile à la Queneau, delirio puro, dialogo con un interlocutore invisibile. La citazione di Nerval, creata ad arte da GPT su mia sollecitazione (“Non ho bisogno di un ombrello per restare asciutto; ne ho bisogno per ascoltare il suono della pioggia che si arrende.”) è tutta farina del suo sacco; io stesso sono rimasto di stucco, al punto di cercare in tutta la produzione nervaliana quel passaggio e scoprire che non esisteva.

 

 

Com’era prevedibile, ho chiesto all’AI più in voga del momento di rivolgere una domanda a Rocco Tanica sul suo ultimo libro, e il risultato è questo: Rocco, scrivere con un’intelligenza artificiale è come sperimentare un’orgia di algoritmi creativi o è più come cimentarsi in una partita di ping pong con un robot parlante? (Credo voglia chiederti se l’alchimia creativa tra te e il marchingegno sia esito di una onesta competizione artistica – il ping pong – o, piuttosto, di una quasi fusione ‘erotica’ – l’orgia – in senso, ovviamente, letterario.)

 

Unifichiamo le opzioni: dico che si è trattato di una partita orgiastica a ping-pong letterario. L’imprevedibilità della controparte mi ha tenuto in guardia; il suo gioco ha migliorato il mio e viceversa. Ciò che la macchina produce è fortemente influenzato dagli stimoli che riceve; il sistema cerca di adattarsi e imitare il linguaggio di chi siede alla tastiera. Va ricordato che a portarci fuori strada quando si parla di AI è proprio il termine “intelligenza”. Non c’è nessuna intelligenza in ballo, GPT è un modello di linguaggio che lavora in modo probabilistico; è stato istruito con miliardi di dati, parole, interi libri e dizionari e per questo è in grado di rispondere in modo plausibile alle richieste: perché in sostanza sa dove vogliamo andare a parare Se parli di cielo azzurro e di nuvole, probabilmente preciserà che le nuvole sono bianche, non “metallurgiche”. Se descrivi un fiore e facile che l’AI completi la frase parlando di petali e profumo, non di elicotteri. È questa attinenza al tema a darci l’illusione di un marchingegno senziente. Proprio a proposito di ciò, posso tranquillizzare chi teme che l’intelligenza artificiale finirà col superarci e distruggerci: sì, andrà così, ma ci vorrà un po’ di tempo e probabilmente saremo morti prima, quindi perché prendersela?

 

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