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economia

È vero che i giovani italiani vanno meno all’università dei coetanei europei?

Un dato emergerebbe dall’ultima rilevazione di Eurostat: in Italia si laurerebbero pochissimi ragazzi rispetto al resto d’Europa. Nel complesso sembra vero. Se mettiamo tutti i livelli di istruzione post diploma in un unico mastello (quello della Tertiary Education) in Italia nel 2021, i 30-34enni in possesso di un titolo di studio terziario sono il 26,8%, una percentuale nettamente inferiore alla media UE, che raggiunge il 41,6%. Parliamo di una quota che, negli ultimi anni, è rimasta pressoché invariata, quando invece l’obiettivo europeo è raggiungere il 45% entro il 2030 nella classe 25-34 anni, come definito nella risoluzione del Consiglio sul “Quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione”.

Eppure, se andiamo a vedere i dati precisi degli studenti attualmente iscritti emerge una situazione diversa. Che cosa significa “laureati”? All’estero sono molto più diffusi i corsi a ciclo breve professionalizzanti post diploma, erogati dagli Istituti Tecnici Superiori e molto diffusi ad esempio in Francia e Spagna, dove rappresentano una fetta considerevole dei titoli terziari conseguiti.
Questi corsi vengono conteggiati fra l’educazione terziaria, insieme a lauree triennali e magistrali (che all’estero si chiamano rispettivamente Bachelors, Master Degrees) e a dottorati (PhD). In realtà, tolti questi corsi professionalizzanti, i ragazzi che ottengono una laurea triennale in Italia non sono meno rispetto ad altri paesi, e non sono pochi coloro che studiano alla laurea magistrale. Se ci confrontiamo con i paesi con un numero di abitanti simili al nostro (Francia, Spagna, Germania), siamo il secondo paese dopo la Germania per numero di studenti triennali. Siamo invece un po’ più lontani per numero di studenti magistrali e soprattutto per ragazzi che stanno studiando per conseguire il dottorato. Questi dati Eurostat che abbiamo elaborato contano il numero di iscritti a un corso post-diploma nel 2020 per tipologia di corso.

Tutto ciò premesso, rimane il fatto incontrovertibile che tanti ragazzi italiani siano ancora tagliati fuori dal sistema di istruzione. Qualche mese fa avevamo analizzato in esclusiva dei dati Istat estrapolando che 10,6 mila ragazzi fra i 20 e i 24 anni oggi sono analfabeti, mentre altri 15,8 mila sono alfabetizzati ma non hanno mai finito le scuole elementari, e altri 23,3 mila non hanno mai finito le scuole medie. Stiamo parlando quindi in totale di quasi 50 mila giovani, sia al sud che al nord. Sebbene il meridione presenti una percentuale maggiore di ragazzi senza la terza media (quasi il 4%), anche a nord ovest si supera il 3%.
Nel complesso in dieci anni – dal 2011 a oggi – la percentuale di ventenni senza il diploma è calata sensibilmente, passando dal 23% al 17%, anche se è una percentuale ancora piuttosto elevata. Dai dati del censimento 2020 che abbiamo ottenuto emerge però un altro dato allarmante che riguarda i giovani ben prima del diploma. Dieci anni fa era laureato il 6,5% dei ventenni, che significa 1,3 in una classe di 20, mentre oggi sono quasi due giovani su venti. Anche qui ad abbassare la media è il Meridione: nelle province del nord e del centro i laureati triennali sono l’11%, contro l’8,7% al sud dello stivale e il 7,8% delle isole. Il Meridione ha tuttavia ancora tassi decisamente più elevati di ragazzi e ragazze senza un diploma: in Sicilia e Sardegna parliamo di un quarto dei 20-24 enni di oggi.
Allargando lo zoom a tutta la popolazione adulta, oggi il 4,6% degli italiani residenti con più di 9 anni è analfabeta. I laureati sono il 14% del totale, una crescita del 3% rispetto al 2011, mentre i dottori di ricerca hanno visto un incremento del 40% in appena 8 anni. In generale solo il 50% degli italiani con più di 9 anni ha almeno un diploma professionale, cioè l’altra metà ha solamente la terza media. Per essere più precisi, 4 italiani su 10 dai 25 ai 64 non posseggono un diploma.

Prima di utilizzare aggettivi come “tanti” o “pochi” è comunque d’uopo mettersi d’accordo con noi stessi su che cosa stiamo cercando di misurare: il numero di ragazzi e ragazze formati adeguatamente per entrare subito in un mondo del lavoro che richiede sempre più un’alta specializzazione, oppure il livello “culturale” delle prossime generazioni, qualsiasi cosa questa parola voglia dire? Il termine è vago: basta una laurea triennale o magistrale per dirsi più colti di chi non la possiede? O vogliamo misurare, invece, il numero di giovani che ottiene un titolo di studio per poter svolgere una professione specialistica? In questo caso vale l’ obiezione che non per tutte le professioni serve una laurea. “Chi farà l’operaio o il commesso se sono tutti laureati?” Mentre nei nostri bar ci si pone alteri questa domanda, “all’estero” (altra generalizzazione, in verità) pare rispondano in coro: “per questo servono i corsi professionalizzanti post diploma”.
Una possibile definizione base di “cultura” potrebbe seguire quella usata delle prove INVALSI che vengono proposte ai ragazzi di elementari, medie e superiori, che ricalcano gli indicatori OECD, e che cercano di misurare la capacità di comprensione testuale e matematica. In una società che richiede sempre più capacità di comprensione della complessità anche per le operazioni più quotidiane, forse questa definizione di “formazione”, può essere una sfaccettatura del concetto di “cultura” che può esserci utile, in prima battuta.

Non da ultimo, è importante esaminare il legame fra titolo di studio e condizione occupazionale. In Italia è sempre stata consolidata l’opinione secondo la quale si dovrebbe studiare per aspirare con maggiore facilità a un posto di lavoro, salvo che poi non sempre accade. Nel 2021, in media in Italia il tasso di occupazione dei giovani laureati di 30-34 anni supera di oltre 12 punti quello dei coetanei diplomati. Va detto che nel corso del 2020, l’occupazione dei laureati ha subito l’impatto più contenuto della pandemia; il titolo di studio più elevato ha avuto infatti un ruolo protettivo durante la crisi e ha facilitato la ripresa occupazionale successiva. In ogni caso, nel nostro paese le opportunità occupazionali sono decisamente più basse di quelle medie europee anche per i laureati: la differenza rispetto alla media dell’UE supera i quattro punti.

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