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politica

Le conseguenze economiche delle elezioni di midterm americane

Come ogni processo democratico, anche le elezioni di midterm americane, in calendario il prosismo 8 novembre, hanno conseguenze sui mercati. Il tema, qui, non è politico, ma numerico. Non si tratta cioè di dire se per l’economia Usa e, più in generale, del pianeta siano meglio le ricette democratiche o quelle repubblicane. Quanto piuttosto di capire cosa possa succedere a livello finanziario se, come probabile, il Grand old party conquisterà la maggioranza in almeno uno dei due rami del parlamento, mettendo così in minoranza il partito del presidente Joe Biden.

È infatti questo, stando alle previsioni di Fivethirtyeight.com che InfoData ha rappresentato nel grafico che apre questo pezzo, lo scenario al momento più probabile. Secondo la testata fondata da Nate Silver, uno dei massimi esperti nelle previsioni elettorali, alla data del 20 ottobre i democratici hanno il 59% di possibilità di ottenere la maggioranza al Senato, dove oggi c’è una perfetta parità, ma di perderla al Congresso. Dove invece le probabilità di vittoria dei repubblicani sono del 79%.

I due grafici sono composti da barre che rappresentano ciascuno dei collegi in cui è suddiviso il territorio americano. Il colore varia dal rosso scuro al blu scuro a seconda della probabilità di vittoria del candidato repubblicano o di quello democratico. Basta un clic per far apparire un pop-up che mostri il nome del collegio e la relativa situazione tra i due contendenti. Bene, ma cosa c’entrano i mercati?

I tre scenari possibili

C’entrano, perché lo scenario che si prospetta sembra essere quello più favorevole per loro. A sostenerlo è George Brown, economista di Schroders, gruppo finanziario che gestisce un patrimoni di circa 900 miliardi di dollari. «Dal punto di vista dei mercati», l’analisi affidata ad una nota, «una situazione di stallo a Capitol Hill favorirebbe gli asset di rischio». La necessità di scendere a compromessi imposta da un parlamento con maggioranze opposte, infatti, «moderano le inclinazioni più estreme di ciascun partito, offrendo agli investitori uno scenario politico più stabile»

La conferma, ovviamente, sta nei numeri: «le azioni statunitensi hanno registrato un guadagno medio annuo del 12,9% quando un presidente ha dovuto affrontare un Congresso diviso, il che si confronta con un più modesto aumento del 6,7% quando un presidente democratico ha controllato entrambe le camere».

Diversa la situazione se dovesse verificarsi uno scenario che, solo qualche mese fa, sembrava irrealizzabile. Ovvero la vittoria democratica in entrambi i rami del parlamento americano. In questo caso, secondo Brown, «i Democratici sarebbero incoraggiati a portare avanti il programma del presidente». In altre parole, «l’aumento delle aliquote massime delle imposte sulle società, sul reddito e sui guadagni di capitale sarebbero tutte sul tavolo. Così come l’inasprimento della regolamentazione in settori come quello bancario e sanitario. I settori interessati potrebbero subire una certa pressione iniziale di vendita. E mentre il sentiment di rischio più ampio potrebbe beneficiare di una posizione fiscale più allentata, gli investitori dovrebbero valutare le possibili implicazioni per la politica monetaria».

Lo scenario più improbabile, non foss’altro perché 36 dei 50 senatori democratici non dovranno confrontarsi con le elezioni di midterm, è una vittoria del Gop in entrambe le camere. Uno scenario che, sul piano legislativo, finirebbe per paralizzare l’attività. Banalmente perché il presidente ha potere di veto sulle norme approvate dal parlamento. Applicato il quale, occorre una maggioranza dei due terzi perché la legge possa essere effettivamente approvata. Maggioranza che, visto il numero di senatori democratici che rimarranno in carica, i repubblicani non potranno ottenere.

Uno stallo che, secondo Brown, diventerebbe complesso nel momento in cui i repubblicani dovessero assumere posizioni molto rigide in tema fiscale. Circostanza che «potrebbe risultare in una resa dei conti simile a quella del 2011, quando l’allora vicepresidente Biden dovette trovare un accordo all’ultimo minuto con i leader repubblicani per evitare un default degli Stati Uniti, con il conseguente primo declassamento del rating creditizio americano: una combinazione che fece crollare di quasi il 20% l’indice S&P 500».

In generale, però, lo scenario al momento più probabile è quello di un pareggio. O meglio, di una maggioranza in una delle due camere per ciascuno dei due principali partiti americani. Circostanza che, secondo Brown, darà alla Federal Reserve, la banca centrale americana, la possibilità di agire sul controllo dell’inflazione e dei tassi di interesse «calibrando la propria politica senza ostacoli». E questo, vista la congiuntura, potrebbe avere dei benefici per i mercati.