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Le banche con più donne nei Cda finanziano meno le imprese inquinanti. Ma non in Italia

Le donne dirigenti nei consigli di amministrazione delle banche influenzano le decisioni di prestito, a beneficio delle imprese meno inquinanti? Pare di sì. Dove è maggiore la presenza di donne nei Consigli di Amministrazione delle banche, queste ultime tendono a erogare meno finanziamenti alle imprese che nella loro attività emettono più gas serra. Alt. Questo però non vale in Italia, né in nessun paese europeo dell’area Mediterranea, dove la presenza delle donne nei CDA delle banche sembra influire molto meno sulle scelte finanziarie.

Sono i risultati interessanti di un Working paper della Banca Centrale Europea pubblicato a ottobre 2022, che ha costruito un dataset altamente “granulare”, cioè dettagliato, che copre quasi un milione di prestiti, confrontando i dati a livello di prestito dal registro dei crediti dell’area dell’euro (fonte: AnaCredit) con i dati a livello di banca e di impresa provenienti da varie fonti, comprese le variabili di governo societario delle banche e le emissioni di gas serra delle singole imprese.
Il risultato è che il paper considera il comportamento di prestito di 52 banche, che rappresentano circa il 60% del totale delle attività bancarie nell’area dell’euro nel 2019.

Le banche con una quota relativamente alta di consiglieri donna (superiore al 37%) mostrano volumi di prestito verso imprese con intensità di inquinamento elevata inferiori di circa il 10% rispetto ai CDA dove le donne sono molto meno presenti, se non assenti. C’è di più: è emerso che negli anni in cui un Direttore di CDA uomo viene sostituito da una Direttrice i volumi di prestito alle grandi aziende più inquinanti calano in modo rilevante, di oltre il 10%. I volumi di prestito alle imprese con un livello di emissioni di gas serra (GHG) pari e/o inferiore a 847 tonnellate/ricavi (cioè il 75° percentile) non sono statisticamente differenti per i due gruppi di banche. Tuttavia, come si osserva nei grafici, le banche con più consiglieri di sesso femminile tendono a erogare meno finanziamenti alle imprese con un livello di emissioni di GHG pari e/o superiore a 1.386 tonnellate/ricavi (che rappresentano il 95° percentile), ovvero appunto a imprese altamente inquinanti.

Infine, l’effetto “green” delle donne nei consigli di amministrazione delle banche è più forte nei paesi con più donne politiche attente alla questione climatica. Laddove la loro presenza supera il 50%, i prestiti alle imprese più inquinanti hanno volumi inferiori. Questo risultato è in linea con la letteratura che analizza la relazione tra l’emancipazione politica delle donne e le emissioni di CO2, che indica una correlazione negativa e statisticamente significativa tra il numero di incarichi ministeriali ricoperti dalle donne e le variazioni delle emissioni di CO2.

E in Italia?

Torniamo ora al dato forse più interessante per noi: tutto questo non sembra valere per le banche italiane. I ricercatori hanno indagato le differenze nei comportamenti delle singole banche a seconda del paese in cui hanno sede, ed è emerso che nell’area Meridionale (Grecia, Italia, Portogallo, Spagna,…) la presenza femminile influenzava molto meno la direzione degli investimenti rispetto al resto dell’Europa. “Questa evidenza potrebbe essere spiegata da una predominanza del modello “uomo capofamiglia” nell’Europa meridionale, che pone le donne nel ruolo di casalinghe, per lo più escluse dal mercato del lavoro. Questo approccio culturale collettivo tenderebbe a minare l’empowerment femminile all’interno dell’organizzazione e nelle posizioni decisionali di alto livello” scrivono gli autori e le autrici.

Il lavoro delle donne, di tutte le donne: siamo sempre al palo. Lo raccontavamo poco tempo fa su Infodata: in Italia 4 donne su 10 fra i 35 e i 44 anni non lavorano, contro il 15% degli uomini. Se consideriamo il tasso di attività e non di occupazione, cioè includiamo anche le donne che studiano, siamo a 7 su 10 donne impegnate. 3 sono cioè inattive, cioè si dedicano unicamente a casa e famiglia. Oppure, al massimo hanno un qualche lavoro saltuario in nero, quindi senza alcun diritto o garanzia di disoccupazione. Se allarghiamo la fascia alle 30-69 enni, sono 7,5 milioni le donne che non lavorano (il 42%), con un picco del 58% di quelle residenti al Sud. Fra le mamme va ancora peggio. Nel 2021 la metà delle donne con almeno un figlio di meno di sei anni fra i 25 e i 49 anni non risulta occupata. La situazione di maggior difficoltà rimane comunque nel Mezzogiorno, dove lavora solo il 35,3% delle donne con figli piccoli, quasi la metà rispetto al Centro (62,7%) e al Nord (64,3%).
Il tasso di inattività delle donne giovani italiane è molto alto rispetto ad altri paesi come Germania, Francia e Spagna. La differenza fra tasso di inattività maschile e femminile in Italia è del 23,2%, contro il 12% europeo e percentuali inferiori al 10% in Francia, Germania e Spagna. In Italia, su 8,6 milioni di occupate tra i 30 e i 69 anni, 2,8 milioni, ovvero il 32,6% lavora part-time. Quasi tre occupati part-time su quattro sono donne. Perchè? Sul totale delle donne che non lavorano a tempo pieno, il 16% dichiara di lavorare part-time per prendersi cura dei figli, di bambini e/o di altre persone non autosufficienti.