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cronaca

Al Sud molte meno donne nel Servizio sanitario nazionale rispetto al Nord

I dati che emergono dall’Annuario Statistico del Ministero della Salute riguardo la forza lavoro nel comparto sanitario del 2020  mostrano chiaramente un Sud dove la percentuale di professioniste, fra medici, infermieri,  amministrativi e personale tecnico, è molto minore rispetto al Centro-nord. Se al nord il 76% dei dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale è donna – dove la prevalenza è maggiore specialmente per infermiere e personale amministrativo – nel meridione ci assestiamo fra il 50% il 60% della forza lavoro rappresentata da donne. Il comparto sanitario è da sempre appannaggio prevalentemente femminile (con minore presenza fra i medici). Le donne rappresentano circa il 67% della forza lavoro, il 73% nei paesi ricchi. Eppure, i paesi con una quota maggiore di donne che lavorano nel settore non mostrano necessariamente una spesa sanitaria e assistenziale più elevata. Ne parlavamo qualche settimana fa raccontando i sette punti del gender pay gap italiano nel settore della sanità.

Tutto il Sud è al di sotto di questa soglia media, anche fra le professioni infermieristiche. Fra i ruoli tecnici (analisti, assistenti sociali, operatori tecnici…) ci sono regioni – Campania e Calabria – dove la presenza femminile non supera il 40% del totale, contro il 60% medio del centro-nord. Sul fronte amministrativo, il gap è dal 50% del Sud al 80% del Nord per presenza femminile. Leggermente contenuto il gap fra mediche nel nord e del sud.

Non è semplice capire le ragioni di questo gap. Con buona probabilità esso è correlato alla più scarsa partecipazione delle donne del Sud al mercato del lavoro, che riflette una minor partecipazione delle ragazze nei decenni passati al sistema di istruzione.

Dal Censimento Istat del 2011, apprendiamo che erano in possesso di una laurea triennale 122 mila ragazze residenti al Sud, 121 mila nelle regioni del Centro, 242 mila al Nord. Fra le laureate del vecchio ordinamento o con laurea Magistrale, 545 mila vivevano al Sud, 581 mila nelle aree centrali e oltre 1 milione al Nord. Fra le dottorate, 18 mila risiedevano al Sud, 33 mila al Nord e 22 mila nelle regioni del Centro. Molte donne laureate nate al Sud trovano lavoro al Nord.

Questi dati sono in linea con un trend chiaro riguardo l’occupazione femminile in molte aree del Meridione. Nel 2021 in Italia la metà delle donne con almeno un figlio di meno di sei anni fra i 25 e i 49 anni non risulta occupata. La situazione di maggior difficoltà rimane comunque nel Mezzogiorno, dove lavora solo il 35,3% delle donne con figli piccoli, quasi la metà rispetto al Centro (62,7%) e al Nord (64,3%).
Nel 2018 solo il 32,2% delle donne del Sud tra i 15 e i 64 anni lavorava, contro il 59,7% nel Nord. Un valore inferiore alla media nazionale delle donne occupate nel 1977 (33,5%).

Anche la questione del part-time è ancora aperta. Nella maggior parte dei casi non è una scelta, ed esiste un indicatore Istat – il “part-time involontario” – che misura questo fenomeno. Fra le occupate, il 32% delle donne fra i 15 e i 34 anni e il 28% delle 25-34 enni che non hanno un diploma fa part-time involontario, contro rispettivamente il 13% e il 7,2% dei maschi della stessa età. Al sud il 23% delle donne occupate non riesce a trovare, suo malgrado, un lavoro a tempo pieno, contro il 15% delle regioni del nord e il 19% del centro.

E poi c’è il tema delle retribuzioni. Se nel pubblico è meno frequente trovare discriminazioni a parità di mansione, nell’insieme del comparto sanitario le cose non stanno così. Come raccontavamo, se vi recate in un centro per la fisioterapia e vi trovate davanti un neolaureato e una neolaureata, sappiate che il primo guadagna 200 euro netti in più al mese della seconda, senza particolari meriti. Un neo-logopedista percepisce 133 euro in più di una collega, un igienista dentale 119 euro mensili aggiuntivi, un infermiere 84 euro in più.