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tecnologia

Identikit del giornalista di dati italiano. Ecco come siamo

Ha migliorato la data literacy dei lettori, abituandoli a sentire parlare di tendenze e tassi di incidenza. È questo, secondo chi svolge questa professione in Italia, il principale effetto che la pandemia da Sars-CoV-2 ha avuto sul datajournalism nel nostro paese. L’indicazione arriva da The State of Data Journalism 2021, una survey lanciata negli ultimi due mesi del 2021 da Datajournalism.com, portale dedicato al giornalismo dei dati promosso dallo European Journalism Centre e dalla Google News Initiative.

Poco meno di 1.300 i questionari compilati ed analizzati, il 9% dei quali arrivati dall’Italia. Circostanza che rende il nostro paese il secondo maggiormente rappresentato, subito dopo gli Stati Uniti. Ora, InfoData ha utilizzato i microdati messi a disposizione da Datajournalism.com per concentrarsi proprio sulle risposta fornite dai colleghi connazionali. Obiettivo, comprendere come il più grande evento data driven della storia abbia impattato il lavoro di chi i dati li maneggia quotidianamente.

La risposta più comune nei 132 questionari analizzati riguarda appunto un miglioramento dell’alfabetizzazione numerica dei lettori. Al secondo posto l’idea che la pandemia abbia rafforzato il settore del datajournalism all’interno delle redazioni, al terzo quella che abbia migliorato l’accesso ai dati. Circostanza, quest’ultima, che riguarda ad esempio il rilascio in formato aperto di alcune informazioni relative alla pandemia da Sars-CoV-2. Cliccando su ciascuna colonna appare il numero di persone che hanno selezionato la risposta in questione. Il totale supera i 132 perché era consentita la risposta multipla.

I microdati relativi alla survey consentono anche di tracciare una sorta di identikit dei giornalisti italiani che lavorano con i dati. O almeno di coloro che hanno partecipato all’iniziativa. Come si vede si tratta per lo più di maschi di età compresa tra i 35 ed i 54 anni.