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finanza

Glasgow Climate Pact, non ha vinto nessuno ma l’accordo Cina-Usa segna una svolta

Cina, la vera protagonista della Cop26. Perché il paese con le più alte emissioni di CO2 è stato cruciale per il Glasgow Climate Pact?

Sono stati degli applausi scroscianti a fare da chiosa alla conferenza di Glasgow, la Cop26. Ma la stesura degli accordi – fatta in extremis nella tarda serata del 13 novembre – non ha tuttavia risparmiato una lunga scia di mal di pancia tra gli interlocutori seduti ai tavoli di discussione. E il concitato “abbiamo un accordo” che ha sancito la fine dei lavori, è stato proclamato – non a caso – dal capo della delegazione cinese, Xie Zhenhua.
Ora che si possono tirare le somme di questa edizione della Cop26, analizzando le azioni promosse e leggendo il Glasgow Climate Pact , l’accordo conclusivo, possiamo guardare al paese del Dragone, la Cina, come alla protagonista di questi giorni di discussione.
Ma vediamo come il Paese con le più alte emissioni di CO2 si è guadagnato i riflettori della più importante conferenza sulla Climate Change. Proviamo a capirlo con l’aiuto di un grafico.

Comanda chi ha più da perdere?
È una domanda lecita pensare se le disposizioni espresse tra le parti della Cop26 abbiano avuto lo stesso peso politico – una misurazione ben complessa, poiché qualitativa. Si può tuttavia guardare alle incidenze economiche delle stesse, pensando ad esempio alle emissioni di CO2 attuate dalle varie nazioni – quest’ultime quantitative, assolutamente misurabili.
Analizzando questa treemap ideata da Our World in Data  possiamo capire la preponderante incidenza del continente asiatico sulle emissioni globali di CO2 annualmente conteggiate.
Le treemap vengono utilizzate per confrontare entità (come in questo caso i Paesi e le regioni geografiche di appartenenza) in relazione ad altre e rispetto al totale. Qui ogni rettangolo interno rappresenta un paese, mentre la sua dimensione corrisponde alla grandezza di emissioni annuali di CO2 nel 2017.
Le emissioni prodotte in Asia rappresentano il 53% di quelle globali. Bisogna tuttavia tenere a mente che il 60% della popolazione mondiale vive nel continente asiatico, ciò significa che le emissioni pro-capite sono leggermente inferiori alla media mondiale.


La Cina è (con un margine significativo) il più grande emettitore dell’Asia e del mondo. Con quasi 10 miliardi di tonnellate ogni anno, rappresenta più di un quarto delle emissioni globali.
Il Nord America, dominato dagli Stati Uniti, è il secondo più grande emettitore regionale con il 18% delle emissioni globali. Segue da vicino l’Europa con il 17%.

Non è dunque un caso che l’ultima parola sugli accordi sia stata espressa proprio dalla Cina. Del resto, da eventuali accordi troppo stringenti, avrebbe dovuto esercitare molte più azioni interne su cambi di rotta relativi alla sussistenza energetica. Si pensi poi che durante la conferenza, in una dichiarazione ufficiale, il ministero cinese dell’ecologia e dell’ambiente aveva espresso la volontà di prevedere un sistema in cui “ogni paese può decidere da solo il proprio contributo”. Infine, a sostegno di questa iniziativa, dopo un incontro tra Stati Uniti, UE e Cina, è stato raggiunto un compromesso sull’impegno a “ridurre gradualmente” piuttosto che “eliminare gradualmente” il carbone.
Un cambio di terminologia decisamente significativo, soprattutto pensando a quanto la Cina dipendi dall’utilizzo del carbone (il combustibile più direttamente riconducibile alle emissioni di anidride carbonica) per il proprio fabbisogno di energia elettrica.

Lo storico accordo tra Cina e USA
Bisogna poi menzionare uno delle collaborazioni più meritevole di cronaca e che, come tale, ha indubbiamente garantito un protagonismo massimale nella conferenza. Si parla dell’accordo sul clima sottoscritto da Cina e USA, i due indiscussi colossi delle emissioni inquinanti di CO2 – come anche dimostrato nella treemap.
L’accordo congiunto riguarda tematiche scottanti per i due Paesi, determinando di fatto – come per un gioco di termini – un disgelo affatto indifferente tra le parti. La collaborazione prevede la transizione a energie pulite, schemi regolatori e standard ambientali per ridurre le emissioni di gas serra, l’economia circolare e, come nota di merito, proprio le politiche per incoraggiare la decarbonizzazione. Insomma, un vero e proprio colpo di scena per il quale il grande Dragone ha ricoperto un ruolo di primo piano sul palcoscenico globale di Glasgow.
Se definire questo protagonismo come un segno di presa di coscienza della Cina, lo potrà dire solo il tempo. Per ora, sugli accordi presi (in primis proprio su quelli tra USA e Cina) non ci si può che restare positivamente basiti.