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tecnologia

Quanti tipi di vaccini esistono?

Alla luce degli ultimi eventi avversi avvenuti in donne giovani a poca distanza dalla somministrazione del vaccino di AstraZeneca, negli ultimi giorni il Comitato Tecnico Scientifico ha deciso di proporre il vaccino solo alle persone con più di 60 anni. Raccomandazione che già c’era, ma che non essendo un divieto, aveva fatto sì che alcune regioni avessero continuato a somministrare il vaccino anche ai più giovani.

Ma che cosa differenzia questi vaccini ad Adenovirus da tutti gli altri approvati in Italia negli ultimi cento anni? Infodata ha voluto fare chiarezza, chiedendo a Massimo Clementi, Professore Ordinario di Microbiologia e Virologia dell’ Università Vita-Salute San Raffaele.

I tipi di vaccino

Esistono a oggi diverse “tipologie” di vaccini: i vaccini  più tradizionali, i primi che l’uomo ha prodotto che fanno uso di vettori virali con virus attenuato (il vaccino contro il vaiolo e il vaccino di Sabin contro la Poliomielite); i vaccini  a virus ucciso (incapace di replicare) come il vaccino Salk contro la Poliomielite, quello contro l’Epatite A e il vaccino antinfluenzale; i vaccini basati su un tossoide (tossina modificata) come quello contro la difterite e quello contro il tetano. Poi ci sono i vaccini a subunità, che usano solo parti del microrganismo, come quello per l’epatite B, quello contro il papilloma virus (HPV) e i vaccini contro i Meningococchi. Infine, negli ultimi anni si sono aggiunti i vaccini ad Adenovirus (Astrazeneca e Johnson&Johnson, ma anche i vaccini contro Ebola di recente produzione) e i vaccini a RNA (Comirnaty di Pfizer-Biontech e Moderna).

Vediamoli uno per uno, per capire che cosa differenzia questi nuovi vaccini ad adenovirus rispetto agli altri, che cosa sono gli “adiuvanti” (che non è sinonimo di “ingredienti”) e quali vaccini li usano, e anche per capire bene che cosa modifica il nostro DNA e che cosa no.

I vaccini a virus attenuato

Sono stati i primi a essere sintetizzati.  “Quando si parla di vaccino con virus vivo attenuato significa che il virus che viene iniettato è capace di replicare nell’ospite ma è attenuato, cioè è incapace di (provocare la malattia” spiega Clementi. Un conto è l’infezione, altra cosa la malattia. Sono vaccini a virus attenuato il vaccino contro il vaiolo (non più usato da quando il vaiolo è stato dichiarato eradicato), il Sabin per la Polio, quelli usati per il morbillo, per la parotite, la rosolia, la febbre gialla e negli ultimissimi anni anche per l’influenza nei bambini. Il vaccino “a gocce nasali usato da un paio d’anni”.

Vaccini a virus ucciso (non replicativo)

In questi vaccini i microorganismi vengono trattati con una sostanza chimica (spesso si tratta di formaldeide) che ne altera DNA e RNA mantenendone le caratteristiche antigeniche, che sono quelle che servono al sistema immunitario per imparare a riconoscere il virus successivamente. Il primo vaccino di questo tipo è stato il Salk sempre per la Polio, a cui si sono aggiunti quello per l’Epatite A e i vaccini antiinfluenzali convenzionali.

Vaccini basati su anatossina (tossoide)

La stessa logica viene usata per i vaccini antibatterici (finora abbiamo parlato di virus).

“Alcuni batteri infettano producendo una tossina e lo sviluppo della malattia dipende da questa tossina. Quindi basta prendere questa tossina, togliere l’attività biologica mantenendo la capacità antigenica” spiega Clementi. Abbiamo ottenuto in questo modo i vaccini contro Difterite e Tetano.

I vaccini a subunità

I vaccini a subunità prevedono inoculo di una porzione di microrganismo, perché basta parte del virus per conferire l’immunità. Una sorta di rasoio di Occam: inoculo giusto quel che serve. A seconda di quale parte del patogeno si utilizza, i vaccini a subunità di dividono in sottocategorie. I più comuni sono il vaccino contro l’Epatite B e il vaccino contro il Papilloma virus, che si basano su proteine. Quest’ultimo in particolare funziona con particelle vuote che veicolano in superficie due proteine del virus esterne che fungono da antigene.

Appartengono a questo gruppo anche i vaccini a glicoproteine, cioè dove si iniettano solo le glicoproteine di superficie inserite in una membrana esterna del batterio. Abbiamo costruito così i vaccini contro Haemophilus influenzae di tipo B (Hib) e tutte le infezioni da pneumococco e meningococco.

Ed eccoci arrivati a SARS-CoV-2.

I vaccini ad Adenovirus

L’ultima grande epidemia di Ebola occorsa dal 2014 ha portato con sé una nuova categoria di vaccini: i vaccini ad Adenovirus, che sono stati usati per la prima volta per sconfiggere Ebola. L’idea è quella di far veicolare una porzione del gene del microrganismo in un vettore di un virus di una specie diversa. Il virus a questo punto può essere capace di replicare oppure no. Se replica produce tante copie di proteine. Se non replica – ed è il caso dei vaccini di Astrazeneca e Johnson&Johnson – serve solo da vettore per portare a contatto del sistema immunitario il gene che produrrà la proteina Spike. “Questi vettori sono derivati dalla ricerca in atto da decenni nell’ambito della terapia genica – spiega Clementi. Ma perché abbiamo usato un Adenovirus di scimpanzé (solo per il vaccino di AZ, mentre nel caso del vaccino di JJ si è usato un adenovirus umano)? “Perché gli Adenovirus infettano anche l’uomo e nella nostra vita ogni persona può già essere stata in contatto con questi patogeni. Pertanto, prendere un Adenovirus di una specie diversa che l’uomo non ha mai visto, evita che il vaccinato abbia già gli anticorpi contro quell’Adenovirus.”

Quali sono le ragioni che fanno sì che in rari casi si presentino reazioni trombotiche? “Nel caso del vaccino contro Ebola che usava la stessa tecnologia non sono stati rilevati effetti trombotici, ma dobbiamo tenere presente che sono state vaccinate solo alcune migliaia di persone, mentre ora per la prima volta abbiamo un campione così esteso. Tendiamo a escludere che il responsabile delle reazioni sia la porzione di virus – continua Clementi –  perché altrimenti vedremmo  gli stessi eventi avversi anche nei vaccini a RNA, ma non è così. Non conosciamo perché questi effetti colpiscano quasi sempre le donne giovani in età fertile, è al vaglio l’ipotesi, tutta da studiare, del ruolo degli ormoni.”

Vaccini ad acidi nucleici: RNA e DNA.

I vaccini a RNA contengono l’RNA di SARS-CoV-2 che può solo trasportare le istruzioni per la produzione della proteina utilizzata dal virus per attaccarsi alle cellule, la proteina denominata Spike. L’organismo grazie alla vaccinazione dovrebbe produrre  anticorpi specifici prima di venire in contatto con il virus rendendoci immuni.

A differenza degli altri vaccini, qui  non c’è un’infezione in atto. Per migliorare la risposta immunitaria ai vaccini a RNA sono stati aggiunti adiuvanti, come accade nei vaccini antinfluenzale per gli anziani che hanno una risposta meno efficiente. Uno degli adiuvanti più usati è lo squalene, una molecola simile al colesterolo che stimola la risposta immunitaria. “L’uso degli adiuvanti può portare in qualche persona allergica qualche fastidio minore come orticaria o reazioni cutanee – ma grossi problemi non ce ne sono stati.”

Che cosa c’è nei vaccini

Gli ingredienti dei vaccini non sono un mistero, così come non è un mistero che alcune persone possano essere allergiche anche alle sostanze più comuni. Per lo più si tratta di alluminio (presente di per sé nel nostro corpo), piccole quantità di antibiotico per evitare che i vaccini si contaminino, formaldeide e gelatina.

Qui c’è un documento dell’FDA americana che sintetizza tutti ciò che contengono i vaccini in commercio attualmente.

Che cosa modifica il nostro DNA?

Parecchie cose, ma non quelle che pensiamo.

Molte persone sono preoccupate del fatto che i vaccini a RNA modifichino il nostro DNA, il nostro codice genetico. Forse a causa dell’assonanza delle sigle DNA e RNA. Questo non è possibile, perché l’RNA messaggero per la sua struttura non può entrare nel nucleo delle cellule umane (che contiene appunto il DNA) ma rimane nel citoplasma cellulare e agisce a livello del ribosoma (che non contengono DNA ma che hanno il compito di sintetizzare le proteine). Lì viene tradotto e poi si distrugge.

La cosa interessante è che i virus non sono estranei alla nostra evoluzione.  “L’8% del nostro DNA è costituito da retrovirus, cioè da modifiche derivanti da virus che l’uomo ha incontrato nel corso dei millenni e che lo hanno infettato. Lo abbiamo scoperto da poco, quando il DNA umano è stato sequenziato” spiega Clementi. “Sì: i virus hanno un proprio DNA che può entrare in contatto con il nostro e in molto tempo modificarlo. Anche noi, come le piante, non abbiamo lo stesso DNA degli uomini vissuti migliaia di anni fa. Addirittura, uno dei retrovirus consente la formazione della placenta, cioè funzione benefica per l’uomo.”.

 

Copertura vaccinale per alcune malattie al mondo nel 2019. Fonte: Our World in data.