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cronaca

Un’attivista ha scaricato tutti i dati di Parler. Ecco perché e cosa può succedere

Si tratta di 412 milioni di file, tra i quali anche 150 milioni di fotografie e più di un milione di video, per un totale di 56,7 terabytes di dati. Anche se il vero punto di interesse sono i metadati, ovvero data e ora della pubblicazione e, soprattutto, coordinate Gps dello smartphone dal quale è stato effettuato l’upload su Parler. Una vera e propria miniera d’oro per gli investigatori dell’Fbi impegnati ad indagare sull’assalto a Capitol Hill dello scorso 6 gennaio. E l’elemento paradossale è che il contributo arriva da una 26enne che si definisce anarco-socialista, non esattamente il profilo di una sostenitrice delle forze dell’ordine.

Ma, appunto, con ordine conviene procedere. Parler è il social network preferito dai militanti di estrema destra e dai seguaci delle teorie del complotto di Qanon, che a questa piattaforma si sono riconvertiti specie dopo la sconfitta elettorale di Donald Trump. O meglio si erano, nel senso che a seguito dei dell’assalto dell’Epifania Amazon AWS, la divisione cloud del colosso di Seattle, ha spento i server che ospitavano la piattaforma. Non prima però che @donk-enby, questo il nickname di Twitter con il quale l’attivista vuole essere chiamata, ne scaricasse i contenuti.

La giovane era partita con l’idea di archiviare ogni post pubblicato nella giornata dell’Epifania. Quando però Apple e Google hanno deciso di rimuovere Parler dai rispettivi store e, soprattutto, quando si è capito che anche Amazon AWS avrebbe potuto intervenire contro il social network, ha deciso di scaricare tutti i contenuti. Uno sforzo cui ha collaborato anche Archiveteam, un collettivo di attivisti digitali che si occupa di archiviare e conservare i contenuti dei siti in via di dismissione.

«Abbiamo scaricato tutto ciò che era pubblicamente accessibile», ha spiegato a Vice la giovane attivista, difendendosi rispetto alle accuse di aver violato la privacy degli utenti di Parler. L’obiettivo dichiarato quello di permettere l’identificazione dei responsabili dell’assalto al Campidoglio durante il quale, bene ricordarlo, sono morte 5 persone, 4 manifestanti ed un poliziotto. Un’identificazione possibile perché questa piattaforma non separa i dati, ovvero il contenuto che si vuole pubblicare, sia esso un semplice post, una foto o un video, e i metadati, ovvero le informazioni relative a chi, dove e quando stia postando. E appunto grazie ai metadati è possibile sapere dove e quando sia avvenuto l’upload e chi lo abbia effettuato.

In altre parole, è possibile capire se la persona con in mano lo smartphone da cui è avvenuto l’upload si trovasse, o meno, a Washington nella giornata del 6 gennaio. Il che è esattamente ciò che ha fatto Infodata costruendo la mappa che apre questo pezzo proprio a partire dai dati raccolti e resi disponibili dagli attivisti che hanno collaborato con @donk-enby. Ogni punto sulla mappa fa riferimento ad un post pubblicato su Parler, cliccandoci sopra un tooltip mostra le coordinate e l’orario in cui è stato pubblicato. Come si può vedere, la maggior parte si concentrano nella zona del Campidoglio (a destra sulla mappa) e in uno spiazzo verde situato tra il Lincoln Memorial e il Museum Mile, proprio di fronte alla Casa Bianca (a sinistra sulla mappa).

Ovviamente, il fatto di aver caricato dei contenuti su Parler dalla capitale americana nel pomeriggio del 6 gennaio non costituisce di per sé un reato. Stabilire se ci sono gli estremi per contestarlo spetta agli agenti dell’Fbi appunto esaminando i contenuti postati, se sussista effettivamente ad una giuria. Così come è possibile che una giuria sia chiamata a decidere se l’iniziativa di @donk-enby e degli altri attivisti sia stata legittima o abbia configurato una violazione. Quel che è certo è che avere accesso ai dati e soprattutto ai metadati rappresenta un’importante risorsa investigativa. Una risorsa che, ulteriore paradosso, è stata messa a disposizione direttamente dagli eventuali responsabili.