Indica un intervallo di date:
  • Dal Al
economia

Perché è così difficile capire cosa succede nelle terapie intensive? Il dato spiegato bene

La risposta breve è che manca una fonte univoca che fornisca, in maniera chiara e aperta, i dati. E si lega all’appello, per quanti fossero convinti invece dell’importanza di avere queste informazioni, di chiederle sottoscrivendo la petizione #datiBeneComune, promossa anche da Infodata. Quella lunga, invece, chiama in causa le incertezze nei numeri a partire dai quali calcolare il tasso di saturazione dei reparti di terapia intensiva degli ospedali italiani.

La quale, essendo una percentuale, si calcola moltiplicando per 100 il numero dei posti letto occupati da pazienti positivi al Sars-CoV-2 e dividendo il risultato per il totale di quelli presenti nelle terapie intensive. Detto, incidentalmente quanto inutilmente, che 100 è un valore noto, resta da determinare gli altri due. E qui cominciano i problemi.

Intanto il numero di pazienti ricoverati. Su questo non dovrebbero esserci incertezze, immaginerà il lettore. Una persona positiva al nuovo coronavirus è o non è in TI. Tertium non datur, dicevano i latini, non c’è una terza possibilità. Basta prendere i numeri che la Protezione civile fornisce ogni giorno per sapere, con certezza, quanti sono i letti occupati da chi ha contratto il Covid-19. Basterebbe, certo, se tutti li individuassero allo stesso modo.

Già, perché in Calabria hanno individuato una terza via. Nel senso che fanno confluire nel computo aggiornato quotidianamente dalla Prociv solo il numero dei pazienti intubati. Quelli invece per i quali, pur trovandosi in terapia intensiva, è sufficiente un casco per aiutarli nella respirazione, restano fuori. Cioè, restano dentro il reparto di TI, ma fuori dal computo totale.

Il problema più grave riguarda però il totale dei posti letto presenti nelle terapie intensive italiane. Lo scorso 13 ottobre il commissario all’emergenza Covid-19 Domenico Arcuri aveva fornito un quadro della situazione. Ovvero un elenco suddiviso per regione dei 5.179 posti letto presenti prima dell’inizio della pandemia e dei 1.259 aggiunti (su una previsione totale di 3.500) grazie ai fondi del decreto Rilancio.

Ora, da allora le regioni si sono impegnate per aumentare il totale dei posti letto a disposizione, così da fronteggiare l’aumento dei contagi. Che, a cascata, si traduce in un aumento delle persone che hanno bisogno di cure intensive. Il guaio è che non c’è una fonte unica che li comunichi. Infodata ha provato a ricostruire i dati incrociando diverse fonti, arrivando anche a calcolarle a partire dal dato di saturazione comunicato in conferenza stampa da Arcuri e dal numero di pazienti ricoverati fornito dalla Protezione civile.

Il guaio è che il numero cambia quotidianamente e mantenerlo aggiornato non è semplice. O almeno, non lo era fino a che Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, non ha deciso di pubblicare un cruscotto statistico. Ovvero una pagina con dei grafici che mostrano il livello di saturazione delle terapie intensive, su base regionale. Dati che Infodata ha estratto, utilizzandoli per realizzare l’infografica che apre questo pezzo.

Ma, anche qui, qualcosa non quadra. La tabella che si ricava estraendo i dati indica i pazienti ricoverati (dato 3) e il totale dei posti letto (dato 4), oltre alla percentuale di occupazione (Y). Se però, come ha fatto Infodata, si ricalcola la percentuale a partire dai dati assoluti, il risultato è diverso da quello indicato nella tabella estratta dal sito di Agenas.

Non bastasse tutto questo, c’è un ulteriore problema. Sapere quanti sono i pazienti Covid-19 ricoverati nelle terapie intensive e quanti i letti totali a disposizione non è sufficiente. Occorre anche sapere quanti sono i pazienti negativi al Sars-CoV-2 che si trovano in questi reparti. Sì, perché ci sono anche persone che hanno bisogno di queste cure pur non avendo contratto il nuovo coronavirus. Incrociare questi tre dati permetterebbe di capire quanti posti letto sono rimasti liberi, ovvero quanto lontano sia il sistema sanitario dal collasso. Ma, come Infodata spera di aver mostrato, riuscirsi è un’impresa impossibile.