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cronaca

Covid-19, servono i dati sui contagi nelle scuole per evitare di chiuderle

Quali sono state le prime realtà chiuse a febbraio, dopo i primi casi di Covid-19 Italia? E quali le prime chiuse dal presidente della Campania Vincenzo De Luca, a fine settembre, nel tentativo di arginare la curva dei contagi? E quali quelle per cui sarebbe cruciale conoscere i dati dei contagi ma per le quali il ministero si limita a comunicare il dato aggregato nazionale? La risposta a tutte queste tre domande è una sola: le scuole.

Ora, è abbastanza ovvio che il rientro in classe comporti un aumento dei contagi. Banalmente, perché aumenta i rischi di assembramento, vuoi su treni e autobus, vuoi anche solo all’ingresso e all’uscita. Altrettanto ovviamente, l’entità di questo aumento dipende da come vengono riaperte. Sulle modalità di come questo sia avvenuto in Italia, rimettiamo il giudizio ai lettori. La cui attenzione ci interessa però spostare sul futuro.

Sono infatti diversi gli allarmi lanciati rispetto agli effetti a lungo termine della chiusura delle scuole. La questione non riguarda solo gli aspetti sociali ed economici: esiste una correlazione tra un basso grado di scolarizzazione e problematiche di salute. Ad esempio, in Italia il 15% delle persone tra i 18 e i 69 anni che si sono fermate alla licenza elementare presenta due patologie croniche, contro il 2,4% dei laureati. Gli studenti avranno tempo per recuperare, dirà qualcuno. Già, peccato che la didattica a distanza aumenti il rischio di abbandono scolastico, in particolare tra i ragazzi più fragili sul piano socio-economico.

Tutto questo per dire che la chiusura delle scuole è un provvedimento che dovrebbe essere assunto ponderando gli effetti sull’immediato e quelli sul lungo periodo. In un quadro ideale, andrebbero chiuse solo quelle scuole all’interno delle quali si registrano dei focolai. Ed è proprio qui che cominciano i problemi.

Prima di illustrare i quali, il lettore consenta una digressione: al 4 maggio, giorno di avvio della Fase 2, la provincia di Oristano ha registrato 55 casi di positività al Sars-CoV-2, 34 ogni 100mila abitanti. Eppure ha subito lo stesso lockdown di quella di Milano, dove i casi sono stati 20.254, ovvero 621,3 ogni 100mila residenti. Ecco, lo stesso discorso vale per le scuole.

Ma se per quanto riguarda i contagi, grazie allo sforzo della Protezione civile, si conoscono i dati su base provinciale, questo non vale per le scuole. Per le quali tocca accontentarsi di un comunicato pubblicato dal Miur lo scorso 15 ottobre. Secondo il quale, al 10 ottobre, risultavano positivi 5.793 studenti, 1.020 insegnanti, 283 soggetti appartenenti al personale non docente. Questo senza nemmeno effettuare distinzioni tra i diversi gradi scolastici. Come se non ci fossero differenze tra le modalità con cui un bambino e un adolescente raggiungono la scuola o su quanti siano i suoi compagni di classe.

Un monitoraggio giocoforza parziale della situazione lo hanno fatto Vittorio Nicoletta, dottorando all’Université Laval in Quebec, e Lorenzo Ruffino, studente di Economia a Torino. I due raccoglievano i dati cercando ‘scuola positivo’ su Google News: «aprivamo tutti gli articoli, li leggevamo e inserivamo i dati, aggiungendo il codice meccanografico (un codice alfanumerico che identifica ogni scuola, ndr) degli istituti», spiega Ruffino a Infodata. Un lavoro che lui stesso definisce titanico: «nei primi giorni dovevamo verificare tra le 20 e le 30 scuole, ma siamo arrivati anche a 120». Con i dati che hanno raccolto, Infodata ha costruito questa mappa:

Alla fine «abbiamo intercettato il 59% dei casi». E si sono fermati quando il ministero ha pubblicato i primi dati. Peccato però che il Miur, lo stesso che, parola della ministra Lucia Azzolina, ha creato un software che calcola lo spazio a disposizione degli studenti all’interno delle classi, non sia stato in grado di crearne uno per raccogliere le segnalazioni di casi all’interno delle scuole.

Non solo. Come hanno scritto il 21 ottobre su Domani Davide Maria De Luca e Filippo Teoldi, i numeri dei casi riferiti dal Miur non nascono da un monitoraggio. Bensì sono frutto di comunicazioni inviate dai singoli dirigenti. Possibile che in sei mesi non si sia pensato all’elaborazione di un “software” capace di raccogliere le segnalazioni relative ai casi di positività al Sars-CoV-2 nelle scuole?

Infodata lo ha realizzato in sei minuti. I dirigenti scolastici che volessero utilizzarlo lo trovano a questo link. Tutte le informazioni raccolte, invece, si troveranno qui. Il tutto con la stessa semplicità con cui si apre una scatoletta di tonno, per usare una metafora cara al partito di riferimento della ministra Azzolina.

Il punto, e qui finiamo, è che chiudere le scuole (cosi come le fabbriche, i negozi e gli uffici) non é gratis. Ha delle conseguenze, alcune delle quali non sono nemmeno quantificabili con certezza oggi. E se davvero, come dice il premier Giuseppe Conte, «dobbiamo scongiurare un secondo lockdown nazionale», servono i dati per capire in quali scuole si stiano diffondendo i contagi. E quindi quali eventualmente chiudere.

Infodata è certa che le istituzioni abbiano in mano queste informazioni. Renderle pubbliche permetterebbe a tutti i cittadini di valutare la situazione e giudicare la risposta del governo. Oppure quella cosa della scatoletta di tonno vale solo quando si è all’opposizione?

Qui gli altri episodi della cronaca critica della diffusione dei dati:
S01E01
So1Eo2
S01E03
S01E04
S01E05
S02E01

Ultimi commenti
  • Carla fiorillo |

    Sarebbe bene che i decreti di chiusura venissero
    effettuati seguendo un a ratio legis, sono una povera docente della scuola primaria della provincia di Roma, mai visto un tampone di controllo nella scuola, altro che controlli a tappeto , io presento una stanchezza cronica da settimane e nessun medico mi considera, e peggiore ogni giorno che passa, le analisi del sangue non prima di 4 mesi, i piccoli alunni non rispettano le regole igieniche e noi docenti dei piccoli rischiamo la vita ogni giorno. Qualcuno ci aiuti, la scuola è unica, o chiudono tutti gli ordini o niente. E diffondessero i veri dati, le misure di sicurezza non esistono nelle scuole.

  • Sara Barbè |

    Anche se il ministero raccogliesse i dati in modo più strutturato, ci restiruirebbero solo una visione parziale dell’impatto della scuola sui contagi, per almeno due motivi.
    Il primo è che nella contabilità scolastica dei contagi entrano solo gli studenti e il personale scolastico dei singoli istituti, e senza una reale opera di tracciamento: in seguito a un caso si considerano solo i contatti stretti, all’interno di una classe, ossia gli studenti seduti più vicino, come si fa sugli aerei (senza tenere conto che nella realtà difficilmente i contatti stretti di uno studente coincidono con i compagni seduti nei banchi vicino). Questo fa si che solo un numero ristretto di persone sia poi sottoposta a quarantene e tamponi. E anche quando una o più intere classi per precauzione vengono messe in quarantena, in assenza di sintomi non è previsto alcun controllo prima del rientro (e lo stesso vale per i docenti non considerati a rischio). Nella scuola media vicino a casa mia ci sono genitori che passata la quarantena prima di far rientrare i figli in classe hanno pagato i tamponi privatamente di tasca loro, scoprendo che i ragazzi erano positivi anche se senza sintomi. Quanti asintomatici rientrano invece in classe senza controlli? Come si fa a stabilire il numero reale dei contagi all’interno di una scuola se si fanno tamponi solo ai casi sintomatici o ai contatti stretti di un caso sintomatico?
    Il secondo motivo è che la scuola non è un’isola: a differenza delle squadre di calcio, i protocolli che dovrebbero renderla sicura, non prevedono che viva in una specie di bolla artificiale. Quando uno studente viene contagiato, specie se è asintomatico oltre che i suoi compagni docenti e personale scolastico mette a rischio di contagio la sua famiglia, gli amici che abitano vicino o che giocano a calcio con lui, le persone che fanno il suo stesso tragitto in autobus o metropolitana… ma le persone che da lui verranno eventualmente contagiate fuori dalla scuola diventando sintomatiche non entreranno nella contabilità scolastica. Di più: se uno studente è asintomatico, e non rientra tra i contatti stretti di un caso scolastico, è più probabile che la sua positività venga rilevata solo se qualcuno dei familiari diventa sintomatico e viene fatto il tampone a tutto il nucleo familiare. Ma in questo caso, anche se si scoprisse che il ragazzo è positivo, in assenza di un link evidente con un caso scolastico, si dirà che si è contagiato fuori dalla scuola.
    L’unico modo serio di analizzare dei dati, è quello di tracciare e valutare l’andamento dei contagi nelle fascie di età scolare a partire dalle settimane successive all’apertura delle scuole, con particolare riguardo anche a cluster familiari o legati ad attività scolastiche ed extracurricolari in cui siano implicati i ragazzi in età scolare. Perchè la sicurezza della scuola non è parametrabile al rispetto delle procedure interne agli istituti scolastici, si misura piuttosto in base agli impatti sulla salute delle fascia di età scolare e della comunità nel suo complesso. In assenza di un monitoraggio sugli impatti reali che l’apertura delle scuole ha per la comunità, ogni discussione è puramente speculativa o ideologica. Facciamo prima a dire che le scuole devono restare aperte a prescindere, come gli ospedali, costi quel che costi. Concludo ponendo una domanda: indubbiamente le statistiche mostrano che la qualità della preparazione scolastica incide sulle prospettive di realizzazione economica e sociale delle nuove generazioni, ma in un momento come questo, non sarebbe il caso di fare valutazioni che tengano conto degli impatti più immediati che questa emergenza ha fin d’ora sul benessere complessivo dei nostri ragazzi? Mi è difficile pensare che un ragazzo che affronta la paura di perdere i genitori ricoverati per il covid , o avverte il peso delle tensioni familiari legate al rischio di perdere il lavoro o la casa non corra già il rischio, molto più reale e meno statistico, di perdere la fiducia nel futuro, a prescindere dalla DAD al 50, 75 0 100%.

  • Umberto Vesco |

    Non basta che i dati siano open: prima devono essere raccolti! E’ accertato che buona perte della popolazione pediatrica contrae l’infezione in forma asintimatica. I compagni di classe non vengono testati (almeno in Piemonte), per cui ben difficilmente i focolai scolastici vengono classificati come tali (forse solo se risulta contagiato un insegnante). Di per sé questo è molto pericoloso ma soprattutto rende impossibile avere i dati per prendere decisioni basate su evidenze.

  • Sciarrotta Sandra |

    Ho cliccato per visualizzare le informazioni raccolte. Partono dal 22 Ottobre. E quelle precedenti?

  • amalia mariotti |

    bellissima analisi, se ci fosse un controllo serio nelle scuole si avrebbe facilmente un termometro dell’andamento del virus su scala nazionale. In questa direzione dovrebbero andare gli sforzi, i dibattiti e le strategie del governo.

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