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finanza

Quanto è importante la Cina per i ricavi delle aziende italiane?

Ora che la diffusione del Coronavirus minaccia, in una reazione a catena tra mercati interconnessi, tutti i listini internazionali (qui l’analisi di Morya Longo su 24+), le previsioni di crescita sono viste al ribasso.

L’economista statunitense Nouriel Roubini, famoso per aver ipotizzato con anticipo la crisi globale del 2008 (anche se, come ricorda Andrea Gennai in questo articolo su 24+, i catastrofisti hanno sbagliato numerose profezie nell’ultimo decennio), in un tweet si è dichiarato scettico sulla possibilità di una crescita del Pil cinese nel 2020 superiore al 2,5%, prevedendo una frenata complessiva dell’economia mondiale.

Interrogando GeoRev, il database di FactSet che permette un’analisi del rischio di fatturato di ciascuna azienda sulla base della stima di distribuzione per paese e area geografica, emerge che solo undici società, a inizio febbraio, erano esposte per più del 10% verso Pechino, mentre altre 22 lo erano per più del 5%.

Tod’s guida la classifica con il 20,83%, seguita dalla società di consulenza e system integration Reply (che riporta quasi il 20% dei ricavi attribuibili alla regione composta da Germania, Cina, Svizzera e Croazia) e da Fincantieri.

Nell’Info Data è possibile scorrere i valori dal maggiore al minore. L’algoritmo di FactSet/GeoRev effettua una stima basata su dati e analisi pubbliche, con una metodologia proprietaria che tiene conto anche del Pil per definire il peso di ciascun paese, laddove aggregato. Nella visualizzazione sono state incluse solo le società quotate in Italia con valori superiori a zero nell’esposizione del fatturato con la Cina e per le quali FactSet/GeoRev comunica una confidenza almeno “Medio Alta”, quarto gradino in una scala di sei che va da “Bassa” a “Dichiarata” (cioè quando viene riportata in modo specifico dalla fonte stessa, ad esempio nel bilancio).