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cronaca

Il gender gap delle donn sul lavoro. Un anno di dati, non di opinioni

 

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L’anno scorso Infodata si era posta fra i suoi obiettivi quello di raccontare con i dati la realtà dello svantaggio che le donne – anche le più giovani – hanno ancora davanti sul luogo di lavoro, specie se sono mamme. Lo abbiamo fatto perché ancora molte donne non considerano la condizione di dipendenza economica dal compagno o dal marito come un problema, fino al momento in cui si verifica una situazione difficile alla quale, senza risorse economiche, non è possibile sottrarsi. Rari casi? No: una donna su mille in Italia si è rivolta a un centro antiviolenza , e in due casi su tre c’erano di mezzo dei figli .

Ecco i numeri che abbiamo raccontato in questo 2019.

Secondo i dati Eurostat che abbiamo raccontato qui  il gender gap nel settore pubblico in Italia ammonterebbe al 4,1% (che ci colloca effettivamente in buona posizione rispetto al resto d’Europa) mentre nel privato si supererebbe il 20%.

Nel mondo della libera professione poi il gap è ancora più marcato (vedi qui ) : dai dati INPS emerge che il reddito medio degli uomini è quasi il doppio di quello delle donne, mentre le libere professioniste iscritte a una delle casse private AdEPP (quindi iscritte a un ordine professionale) guadagnano il 38% in meno dei loro colleghi uomini.

Una ragazza su quattro con meno di 30 anni non studia e non lavora  . Ancora oggi il 16% delle ragazze meridionali non finisce la scuola, contro il 10% del nord e l’8% di chi vive nelle regioni del centro.

Una nota di Istat mostra che oggi la metà delle donne con due o più figli fra i 25 e i 64 anni non lavora. Fra le coppie giovani che hanno figli solo nel 28% dei casi lavorano entrambi a tempo pieno, il che significa che possono permettersi servizi di accudimento. Una donna su dieci con almeno un figlio non ha mai lavorato , per dedicarsi completamente alla cura dei figli, la media europea è del 3,7%. Al sud ha fatto questa scelta una donna su cinque con almeno un figlio dichiara di non aver mai lavorato per potersene prendere cura.

D’altro canto avere un figlio cambia molto di più la vita professionale di una donna rispetto a quella di un uomo. Alla domanda “fai fatica a conciliare lavoro e famiglia?” la percentuale di uomini e di donne che hanno risposto di sì è la stessa, ma alla prova dei fatti  il 38,3% delle madri occupate, oltre un milione, ha dichiarato di aver apportato un cambiamento, contro poco l’11,9% dei padri, circa mezzo milione di uomini.

Un risultato di non lavorare? Per esempio non avere diritto a una pensione. Le pensionate che ricevono integrazioni al minimo sono 2,5 milioni, l’82,1% del totale dei destinatari di tali integrazioni. Il 18% delle donne anziane poi, non riceve alcuna forma di pensione, contro il 3% degli uomini. Dai dati INPS emerge che per quanto riguarda Quota 100, le richieste da parte di donne sono state un numero esiguo. La maggior parte di loro ha usufruito dell’ “Opzione donna”, che le manderà in pensione con un importo medio inferiore ai 1000 euro mensili.

Non è colpa solo degli uomini, sia chiaro. Sono molte le donne, magari madri, che in assenza di servizi adeguati sono costrette a non lavorare o a scegliere un part time, ma sono anche molte quelle ancora poco consapevoli delle conseguenze di non avere un’indipendenza economica. Dai dati Istat abbiamo scoperto per esempio che in 12 regioni su 20, sono più le donne a pensare che ”gli uomini siano meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche”. In 10 regioni su 20 inoltre sono più le donne (in certi casi molte di più!) degli uomini a pensare che dovendo scegliere fra un uomo e una donna per un unico posto di lavoro, sia meglio scegliere l’uomo, in particolare in Molise, Lazio, Campania e Marche