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politica

Ticket sanitari: nel 2018 ogni cittadino ha speso (di tasca propria) 49,1 euro

Secondo l’ultimo rapporto della Fondazione Gimbe sui ticket nel 2018, ogni cittadino italiano ha speso di tasca propria per ticket 49,1 euro, di cui 26,6 euro per i farmaci e 22,5 euro per visite specialistiche. Un totale di 2,9 miliardi di euro. Il trend di compartecipazione alla spesa negli ultimi anni è rimasto sostanzialmente stabile: abbiamo speso 2,8 miliardi di euro nel 2014, 2,9 nel 2015, € 2,8 nel 2016, e nel 2017 e 2.9 miliardi nel 2018. Una cosa però è variata: è aumentata la spesa per i farmaci (+12% dal 2014 al 2018), mentre è diminuita quella per i ticket sulle prestazioni (-6,1%).
Anche solo rispetto al 2017, i costi dei ticket sono complessivamente aumentati di 83,4 milioni di euro, cioè del 2,9%. Di questi, un quarto (22,4 milioni, +1,7% sul 2017) riguardano le prestazioni specialistiche, mentre i tre quarti (61 milioni di euro, +3,9% sul 2017) la spesa per i farmaci. All’interno di quest’ultima voce, la quota fissa di spesa si è ridotta di € 15,8 milioni (3,2%), mentre quella relativa al prezzo di riferimento è aumentata di € 76,8 milioni (+7,3%).
All’interno dei costi per le visite specialistiche, il 96% riguarda la spesa ambulatoriale, mentre il 4% è stato speso per ticket da pronto soccorso. È interessante osservare che oltre il 62% dei ticket per il pronto soccorso riguarda relativo a tre sole Regioni: Veneto (12,9 milioni di euro), Emilia Romagna (9,6 milioni) e Lombardia (5,1 milioni).
Le differenze fra regioni sono notevoli. Si passa dai 60 euro pro capite in Veneto ai 33,7 euro della Sardegna. Per i farmaci i campani spendono di ticket 36,2 euro a persona e i piemontesi 16 euro, mentre per le prestazioni specialistiche si passa dai 40 euro di Emilia Romagna, Friuli e Trentino, agli 8,5 euro della Sicilia.
L’aumento del peso della spesa farmaceutica sul totale è dovuto al progressivo incremento della quota differenziale per l’acquisto dei farmaci di marca, rispetto agli equivalenti, mentre la progressiva riduzione dei ticket per le prestazioni specialistiche indica uno spostamento della domanda verso il privato, “sicuramente più concorrenziale per le fasce di reddito più elevate, in particolare dopo dell’introduzione del superticket” scrivono gli autori.
La quota fissa per i farmaci si è infatti ridotta di 15,8 milioni dei euro nel periodo 2017-18 (3,2%), mentre quella relativa al prezzo di riferimento, più alto per i farmaci di marca, è aumentata di 76,8 milioni (+7,3%). Dei citati 26,6 euro che ogni cittadino spende per i farmaci, solo il 30% (8 euro) è relativo alla quota fissa, mentre 18,6 euro riguardano la quota differenziale sul prezzo di riferimento.

L’Ocse ci colloca al penultimo posto su 27 paesi sia per valore del peso di questi farmaci sul totale (8,4% contro il 25% della media OCSE), che per volume (19,2% contro 51,5% della media OCSE). Nelle Regioni del Centro-Sud, addirittura la preferenza per i farmaci di marca oggi “pesa” per il 38% della cifra totale sborsata dai cittadini per i ticket, e per il 70% della compartecipazione per i farmaci.
Riguardo invece al superticket – la maggiorazione di 10 euro sul ticket per le prestazioni diagnostiche e di specialistica ambulatoriale introdotta dalla Legge Finanziaria nel 2011 – ogni regione ha avuto la libertà di recepirlo come riteneva e pertanto alcune regioni lo hanno introdotto integralmente, altri con applicazione ridotta (3 euro al posto di 10). In alcune regioni dipende dal valore della ricetta, in altre dal reddito, dalle fasce di età.
Qualcosa forse si muove verso una maggiore equità. La Legge di Bilancio 2019 ha incluso “la revisione del sistema di compartecipazione alla spesa sanitaria a carico degli assistiti al fine di promuovere maggiore equità nell’accesso alle cure” nel proprio programma. Intanto a dicembre 2018 è stato approvato il decreto che fa sì che dei 60 milioni di euro previsti dalla Legge di Bilancio 2018 per avviare una parziale riduzione del superticket per la specialistica ambulatoriale, 48 milioni vadano suddivisi tra tutte le Regioni, e 12 milioni solo tra quelle che avevano già adottato misure alternative: Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Basilicata.