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politica

Laurea per i ricchi e apprendistato per i poveri. La disuguaglianza nell’istruzione

Appena prima di Natale l’attuale Segretario di Stato per l’Istruzione Britannico, Damian Hinds, conservatore, ha dichiarato in un suo discorso che dobbiamo superare lo snobismo imperante verso l’istruzione professionale. È necessario che chi non può studiare o non desidera farlo, sia incanalato già prima della scelta universitaria verso un apprendistato professionalizzante, possibilmente vicino a casa.

Il sistema britannico, che il luogo comune italiano assume come uno dei migliori sistemi universitari al mondo, non è certo ugualitario. Eppure, sia le famiglie più benestanti che i figli delle classi meno abbienti pensa all’Oltre manica come un Eldorado di possibilità, nonostante solo per i primi questa idea possa tradursi di fatto in realtà. Nel Regno Unito vige infatti il sistema del debito studentesco: anche se non puoi permetterti di sostenere gli ingenti costi delle migliori università, il governo ti anticipa il denaro, con il patto di restituire tutto entro una certa scadenza. Una logica presente anche in altri paesi europei, fra cui la paritaria Norvegia, che però per molti diventa una zavorra immensa una volta iniziato a lavorare se non hai una famiglia alle spalle.

Come racconta a questo proposito sulle pagine del Guardian Laura McInerney, insegnante della London Academy school, questa logica di spronare i meno abbienti a intraprendere l’apprendistato e i più ricchi a iscriversi all’università in realtà funziona per oliare il sistema: fa abbassare il debito, migliora i tassi di occupazione, riduce il bisogno di immigrati e quindi porta consenso alla politica.

Tuttavia, non è una scelta lungimirante in termini economici. E soprattutto non è uguaglianza.

Pensiamo al diciottenne che proviene da un contesto modesto e che vorrebbe studiare. Facilmente riterrà più conveniente perché meno costoso e più redditizio iniziare un apprendistato in una la fabbrica locale rispetto a pensare di iscriversi all’università, dovendosi spostare. È certamente così sul breve termine, anche se come si leggeva su Infodata qualche settimana fa, sul lungo termine laurearsi in fretta ripaga anche in termini economici. Per lo meno in media.

Dall’altra parte della città vive un altro diciottenne, figlio di genitori benestanti, che facilmente ha già avuto esperienze di studio all’estero, e che sa che il suo futuro non dovrebbe dipendere da un singolo datore di lavoro perché un giorno intende essere lui stesso il datore di lavoro. “Questo ragazzino non prenderà la via dell’apprendistato – scrive McInerney – e Hinds lo sa bene.”

Questo tema è molto importante per riflettere sul futuro del nostro paese e sulle reali opportunità per tutti i giovani, al di là dei 500 euro regalati indistintamente a ogni diciottenne o alla possibilità di un reddito di cittadinanza. In Italia l’università pubblica costa di meno, anche se ci avviciniamo al modello classista inglese se pensiamo alle rette di certe università private o dei master post lauream.
Anche restando nel pubblico dati Almalaurea mostrano chiaramente che tendenzialmente chi parte svantaggiato in termini economici, ci resta. Abbiamo bassissimi tassi di giovani laureati rispetto al resto d’Europa, soprattutto fra le fasce meno abbienti, anche perché nel nostro paese si aggiunge il gap della scelta della scuola superiore. Nell’anno scolastico in corso il 55% dei ragazzi frequenta il primo anno di un liceo, il 30% un istituto tecnico e il 15% un istituto professionale. Come mostrano sempre i rapporti annuali di Almalaurea e Almadiploma, già questa prima scelta produce un divario di classe importante: solo un iscritto a un liceo classico o scientifico su 10 è figlio di operai o impiegati, il 17% dei diplomati professionali sceglie di andare all’università, e solo uno su tre di coloro che prima del diploma intendeva iscriversi all’università, l’ha effettivamente fatto. Chi proviene da famiglie più svantaggiate, non solo in termini economici, ma anche di titolo di studio dei genitori, di fatto studia di meno e quando anche arriva a iscriversi all’università, sceglie corsi di laurea più brevi.

La logica della mera convenienza economica a breve termine è coerente, ma schiacciante e contraddittoria sul lungo termine per chi parte svantaggiato. E quindi vincente per le classi più abbienti.

Articolo pubblicato a gennaio 2019