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politica

Brexit, il voto europeo con o senza il Regno Unito. Chi vince e chi perde

A meno di un’improbabilissima approvazione dell’accordo di uscita negoziato dal primo ministro britannico Theresa May con l’Ue, il rinvio della Brexit porterà anche il Regno Unito a partecipare alle elezioni europee di fine maggio.

Il paese britannico avrebbe dovuto essere fuori dall’Unione il 29 marzo scorso, e per questo naturalmente non avrebbe avuto alcun rappresentante al parlamento europeo. In previsione dell’evento, il numero totale di seggi per gli europarlamentari era stato modificato portandolo da 751 a 705. Con la proroga concessa al paese britannico, tuttavia, si torna alle regole precedenti finché non ci sarà l’uscita effettiva – fissata al momento per il 31 ottobre 2019.

 

Che effetti avrà questo sugli equilibri politici europei? Gli abitanti del Regno Unito riempiranno 73 seggi al parlamento europeo, lo stesso numero degli italiani, e secondo le proiezioni dei sondaggi attuali aggregate dal Financial Times questo potrebbe rendere la situazione più incerta e complicata.

 

 

Il quadro politico nel Regno Unito è, al momento, estremamente fragile. Il fallimento dei conservatori nell’accordarsi per un’uscita dall’Ue sta, secondo i sondaggi, portando moltissimi elettori ad abbandonarli in favore del neonato Brexit Party guidato dall’euroscettico Nigel Farage. Alle consultazioni europee quest’ultimo viene dato proprio come primo partito intorno al 27%, seguito dai laburisti e con i conservatori che potrebbero ottenere il peggior risultato della propria storia. Proprio a causa di una situazione tanto fluida, c’è comunque maggiore incertezza del solito nelle rilevazioni che quindi vanno prese con prudenza.

Non si tratta comunque di una novità assoluta: anche alle scorse europee del 2014 gli anti-europeisti dell’UKIP – sempre guidati da Nigel Farage – avevano ottenuto un risultato praticamente identico, con però i conservatori dieci punti più in alto di quanto suggeriscono oggi i sondaggi.

La presenza di questi ultimi andrebbe comunque a rimpolpare nell’europarlamento le fila del gruppo dei conservatori e riformisti (ECR), così come i laburisti spingerebbero un po’ in alto i socialisti europei – in difficoltà un po’ in tutto il continente nonostante il successo alle elezioni politiche in Spagna di pochi giorni fa.

Queste tre famiglie politiche sono quelle il cui peso aumenterebbe, mentre a perdere troveremmo il centro-destra dei popolari europei, e in piccola misura i liberali del gruppo ALDE nonché gli ultra conservatori del gruppo di cui per l’Italia farà parte la Lega.

 

 

 

Se davvero gli inglesi votassero il Brexit Party come suggerito dai sondaggi, il risultato sarebbe un ampio gruppo di seggi euroscettici al parlamento europeo: in effetti la seconda singola pattuglia nazionale più ampia dopo quelli del centro-destra tedesco (CDU/CSU) guidati di recente da Angela Merkel, e poco più dei leghisti in arrivo dall’Italia.

 

Le proiezione recenti pubblicate del sito pollofpolls.eu parlano di 27 eurodeputati assegnati al Brexit Party contro i 28 della CDU/CSU o, per dare un altro riferimento, i 17-18 di PD e Movimento 5 Stelle che oggi risultano grosso modo alla pari.

 

 

Una nuova infornata di euroscettici non può che rendere più complicato arrivare a un accordo politico e dunque a una maggioranza all’europarlamento. Già prima del rinvio della Brexit sembrava molto improbabile che le forze tradizionali di centro-destra o centro-sinistra potessero ottenere, da sole, il numero necessario di seggi.

 

Una eventuale coalizione di centro-destra, formata da popolari e liberali, si sarebbe fermata prima del 40%, e con i nuovi equilibri il risultato sarebbe ancora più negativo. La presenza dei laburisti fra i socialisti europei spingerebbe un po’ il loro risultato, ma anche insieme alla sinistra radicale essi restano ancora più lontani dai numeri richiesti.

 

Nel caso in cui i gruppi principali – nell’ordine popolari, socialisti e liberali – dovessero raggiungere un accordo a tre, avrebbero invece una maggioranza con o senza il voto nel Regno Unito, per quanto nel primo caso con margini leggermente ridotti.