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economia

Come è variata la domanda di energia negli ultimi dieci anni

Largo è il consenso che il mondo dell’energia sia attraversato da ondate innovative di tale rilevanza da consentire con relativa facilità di rispettare gli impegni nella lotta ai cambiamenti climatici sottoscritti a Parigi e ribaditi nel G20 di Amburgo, nonostante la defezione degli Stati Uniti. Ma le cose stanno davvero muovendo in questa direzione? Interrogativo lecito, guardando alle dinamiche nello scorso biennio di alcune principali grandezze (tratte dal recente BP Statistical Review of World Energy). La crescita della domanda mondiale nel 2016 di 171 milioni di tep (tonnellate equivalenti di petrolio), comparabile all’intera domanda britannica, ne ha portato il livello a 13,3 miliardi di tep: 2,0 in più di un decennio prima. A soddisfarla, hanno concorso per l’85,5% le fonti fossili e soprattutto – dato su cui percezione e realtà più confliggono – il petrolio che dal 2014 al 2016 ha accresciuto la sua quota di mercato di 0,5 punti al 33,3%, interrompendo un declino che perdurava dal 1999. Altro che picco della domanda! Se si confermeranno le previsioni dell’Agenzia di Parigi, l’aumento salirà nel quinquennio al 2018 di oltre 7 milioni di barili al giorno (bbl/g) – uno dei più elevati dagli anni Settanta – a un livello prossimo ai 100 milioni di bbl/g.

Morale: nel decennio 2006-2016 il mix delle fonti è rimasto sostanzialmente invariato con un calo delle fossili di appena 1,7 punti percentuali. A questi tassi di sostituzione i tempi della loro estromissione sono del tutto incompatibili con gli obiettivi di Parigi. L’area Ocse rimane quella a maggior penetrazione delle rinnovabili con i due terzi del totale mondiale. L’Unione europea, che ne rappresenta circa la metà, dopo la loro forte crescita nel decennio scorso di circa il 15% m.a. ha registrato nel 2016 una battuta d’arresto. Riprenderne lo sviluppo è tutt’altro che scontato. Nonostante i maggiori consumi di energia e delle fossili nel 2016, per il quarto anno consecutivo, le emissioni di anidride carbonica sono rimaste stabili, disattendendo la totalità delle previsioni. Su base quadriennale il periodo 2013-2016 ha segnato il miglior risultato dal 1980-1983. A motivarlo: la recessione economica, la penetrazione delle rinnovabili, i mutamenti nel mix settoriale delle economie, specie in Cina; non ultimo: gli errori dei modelli previsivi. I Paesi industrializzati hanno registrato nel 2016 un calo delle emissioni dell’1%, in linea col precedente decennio con, altra sorpresa, l’America che l’ha raddoppiato al 2% e l’Europa che le ha stabilizzate, interrompendo il precedente calo del 2% m.a.

Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore  del 6 settembre 2017