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cronaca

Demografia, come sarà l’Europa nel 2081? La piramide della popolazione

Nel 2081 ci saranno 518 milioni di persone in Europa, sette milioni in più rispetto ai cittadini europei quest’anno. In Italia invece diventeremo meno, tra 64 anni passeremo da sessanta e rotti e 53 milioni. Lo sostengono le proiezioni dell’Unione europea che non tengono però conto dei flussi migratori ma solo delle tendenze statistiche legate alle nascite, all’indice di fertilità e alle morti. Il caso italiano si spiega quindi con il calo delle nascite e l’età avanzata della popolazione.

Se infatti andiamo a guardare come evolverà la piramide dell’età (si tratta di un grafico che mostra dividendo in maschi e femmine la percentuale delle fasce d’età sulla popolazione) ci accorgiamo che rispetto all’Europa qualcosa cambia. Qui sotto dal sito PopulationPyramid abbiamo preso le immagini dell’Europa e dell’Italia sempre nel 2081. Si può apprezzare che in Italia circa il 5% della popolazione ha una età compresa tra i 75 e gli 85 anni. In Europa questa percentuale non raggiunge il 4%. Mentre nella fasce dei giovani tra 5 e il 25 anni si passata dal al 7,5 del vecchio continente al 7 dell’Italia. Interessante il fatto che da noi è più bassa la percentuale di femmine. In proporzione quindi il problema dell’Italia non è legato alle percentuali di giovani che non si discostano dalla piramide europea. Ma dall’allungamento della vita degli anziani. Comparando le due piramidi è più “larga” in alto quella del nostro Paese. Mentre come base siamo in linea con il dato europeo. Come spiegano questo dato gli studiosi di demografia? Con il boom di nascite degli anni Settanta a cui non è seguita una ripresa nelle nascita in linea con quella degli altri Paesi.

Il caso Italia. Scrive oggi Istat, la popolazione residente attesa per l’Italia è stimata pari, secondo lo scenario mediano, a 58,6 milioni nel 2045 e a 53,7 milioni nel 2065. La perdita rispetto al 2016 (60,7 milioni) sarebbe di 2,1 milioni di residenti nel 2025 e di 7 milioni nel 2065. Tenendo conto della variabilità associata agli eventi demografici, la stima della popolazione al 2065 oscilla da un minimo di 46,1 milioni a un massimo di 61,5. La probabilità di un aumento della popolazione al 2065 è pari al 7%.

Nello scenario mediano, mentre nel Mezzogiorno il calo di popolazione si manifesterebbe lungo l’intero periodo, per il Centro-nord, superati i primi trent’anni di previsione con un bilancio demografico positivo, un progressivo declino della popolazione si compierebbe previsltanto dal 2045 in avanti. La probabilità empirica che la popolazione del Centro-nord abbia nel 2065 una popolazione più ampia rispetto a oggi è pari al 31%, mentre nel Mezzogiorno è pressochè nulla.

Appare dunque evidente uno spostamento del peso della popolazione dal Mezzogiorno al Centro-nord del Paese. Secondo lo scenario mediano, nel 2065 il Centro-nord accoglierebbe il 71% di residenti contro il 66% di oggi; il Mezzogiorno invece arriverebbe ad accoglierne il 29% contro il 34% attuale.

Le future nascite non saranno sufficienti a compensare i futuri decessi. Nello scenario mediano, dopo pochi anni di previsione il saldo naturale raggiunge quota -200mila, per poi passare la soglia -300 e -400mila unità in meno nel medio e lungo termine.

La fecondità è prevista in rialzo, da 1,34 a 1,59 figli per donna nel periodo 2016-2065 secondo lo scenario mediano. Tuttavia, l’incertezza aumenta lungo il periodo di previsione. L’intervallo di confidenza proiettato al 2065 è piuttosto alto e oscilla tra 1,25 e 1,93 figli per donna.

La sopravvivenza è prevista in aumento. Entro il 2065 la vita media crescerebbe fino a 86,1 anni e fino a 90,2 anni, rispettivamente per uomini e donne (80,1 e 84,6 anni nel 2015). L’incertezza associata assegna limiti di confidenza compresi tra 84,1 e 88,2 anni per gli uomini e tra 87,9 e 92,7 anni per le donne.

Nella stima della popolazione residente attesa per l’Italia un contributo determinante è esercitato dalla previsione delle migrazioni con l’estero. Il saldo migratorio con l’estero è previsto positivo, essendo mediamente superiore alle 150mila unità annue (133mila l’ultimo rilevato nel 2015) seppure contraddistinto da forte incertezza. Non si esclude l’eventualità, ma con bassa probabilità di concretizzarsi, che nel lungo termine esso possa diventare negativo.