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tecnologia

Startup, la finanza a impatto sociale arriverà a 3 miliardi nel 2020

Fino a tre miliardi di euro al 2020. Tanto è destinata crescere in Italia la dimensione di asset gestiti nell’impact investing, l’approccio che sposa il ritorno finanziario con un impatto sociale misurabile. Nata per cogliere le sfide della sostenibilità, la finanza a impatto sociale ha conquistato big come Ubs, Merrill Lynch e Deutsche Bank, che hanno lanciato i primi impact fund. Seguiti dai governi, primi tra tutti la Gran Bretagna e gli Stati Uniti che nel 2011 hanno sperimentato i social impact bond per il reinserimento sociale degli ex-detenuti delle carceri. «L’impact investing ha attratto interesse anche perché riduce il rischio nel portafoglio degli investimenti. Si calcola che per esempio, negli ultimi anni di volatilità, la microfinanza abbia garantito un rendimento medio del 3,6% annuo» ha detto Julia Balandina Jaquier, consulente di famiglie con grandi patrimoni, intervenuta alla finale italiana della Global Social Venture Competition, organizzata da Intesa Sanpaolo Startup Initiative/Altis Cattolica e vinta da Atlas (biocida basato su moleca naturale non tossica) e D-Heart (elettrocardiografo tascabile).
Ora l’impact investing sta dando anche in Italia segnali di vivacità: il centro Tiresia (Politecnico di Milano) stima una forchetta tra 2 e 3 miliardi al 2020. Il mercato potenziale però è molto maggiore: il divario tra la spesa pubblica e i bisogni è calcolato in 28,9 miliardi. «Il decreto sull’impresa sociale di prossima approvazione prevede aperture e incentivi fiscali per gli investitori privati – spiega Mario Calderini, professore di social innovation al Politecnico di Milano – Diverse importanti banche stanno progettando strumenti di impact, così come fondi pensione e assicurazioni. Ma soprattutto potrebbe cambiare lo scenario l’imminente impegno di alcune tra le maggiori fondazioni ex bancarie».
Entro fine anno Fondazione Cariplo costituirà un veicolo per lo sviluppo del mercato della finanza sociale. L’intento è sostenere la capacity building del terzo settore e allo stesso tempo mettere a disposizione capitali pazienti. A Torino il presidente di Compagnia di San Paolo Francesco Profumo si è detto molto interessato al settore e anche Fondazione Crt sta facendo diverse riflessioni.
L’operatore più consolidato in Italia è Oltre Venture che ha investito 8 milioni di euro con 17 aziende dalla sanità a prezzi calmierati all’housing sociale. Ora si appresta a investire ancora. Dieci milioni vengono dal Fondo europeo degli investimenti, e la società fondata da Luciano Balbo (ex B&S Private equity) si è impegnata a raccoglierne altrettanti. È andata meglio del previsto e tra Fii, privati e investitori istituzionali, il fondo Oltre II avrà 30 milioni da investire come capitale di rischio in startup o imprese giovani. «Per far crescere il sistema dell’innovazione sociale sarebbero necessari più intermediari di qualità e specializzati nell’accompagnamento e nell’investimento» spiega Lorenzo Allevi, amministratore delegato di Oltre Venture.
Punta ai finanziamenti del Fei anche Impact Hub Milano, l’incubatore certificato di imprese sociali. È in trattativa per 15 milioni, con un obiettivo minimo di raccolta a 30 milioni entro fine anno. «Stiamo decidendo il veicolo – spiega Marco Nannini amministratore delegato di Impact Hub , partner di Gsvc– L’idea è finanziare non solo l’early stage. In Italia ciò che manca è proprio la fase dei round che consenta di scalare. La disponibilità di capitali permette il riscontro con il mercato, la selezione delle idee davvero valide, che pure ci sono».
Da tempo sta lavorando a un fondo Avanzi-Make a cube, con un obiettivo di raccolta da 20 milioni. «Abbiamo contatti con investitori istituzionali interessati – spiega Matteo Bartolomeo – Si tratterebbe di capitale di rischio equity o quasi equity da investire in nuove imprese, non necessariamente startup, che abbiano un interesse ambientale, culturale o sociali». Molti si stanno muovendo. «Ora che c’è l’offerta bisogna capire come si muove la domanda di capitale di rischio nel social business. Finora il settore ha vissuto di autofinanziamento, grant, prestiti bancari. Bisogna far emergere un modello diverso dove prevalga la voglia di mettersi in gioco e l’uscita dalla zona di comfort» conclude Bartolomeo.

startup@ilsole24ore.com

@macca1308