Indica un intervallo di date:
  • Dal Al
tecnologia

Le startup italiane alla prova dell’equity crowdfunding. Il ritardo e le prospettive

Cento investitori e una raccolta pari al doppio dell’obiettivo. Sharewood, startup che si occupa di noleggio attrezzatura per sport outdoor, ha messo a segno una delle campagne di equity crowdfunding (raccolta di capitali online attraverso la cessione di quote della società) più fruttuose della storia italiana: oltre 135mila euro, contro i 75mila previsti, da una platea di 100 investitori privati. Un picco che equivale a tre volte la media di 32,7 investitori registrata nelle operazioni precedenti, mentre la campagna è ancora in corso sulla piattaforma Crowdfundme. La raccolta, sostenuta da Websim , permetterà all’azienda di espandersi all’estero con due tappe già fissate in Finlandia e Portogallo.
Siamo ancora distanti dalla media internazionale, dove una startup come la banca online Monzo è riuscita ad accaparrarsi un milione di sterline nell’arco di 96 secondi. Eppure lo strumento dell’equity crowdfunding, variante finanziaria del crowdfunding tradizionale, inizia a farsi conoscere anche in Italia. Sullo sfondo c’è il mercato della cosiddetta finanza alternativa, cresciuto tra 2013 e 2015 fino a un volume internazionale di 5,4 miliardi di euro. In Italia la raccolta si ferma a 7,7 milioni di euro, ma i numeri potrebbero crescere di pari passo con l’aumento della materia prima per la campagne di finanziamento online: le startup innovative, oggi a un soffio dalle 7mila unità e in cerca di capitali per uscire dalla fase di stallo del cosiddetto early stage (il gradino iniziale). Tuttavia, quello dell’equity crowdfunding è un mercato che non è decollato, nonostante siamo stati uno dei primi paesi a darci una legislazione in questo senso. Gli investimenti in startup, secondo i dati Intermonte, potrebbero fare gola in Italia a un serbatoio di 50 miliardi di risparmio privato. «C’è un interesse forte per gli investimenti alternativi perché la finanza tradizionale rende zero e si cercano soluzioni diverse. Come è già successo negli Stati Uniti, dove gli “orfani” del mercato azionario hanno alimentato il boom degli unicorni (startup con valutazioni sopra il miliardo)» spiega Fabrizio Barini, capo della divisione New business develompent di Intermonte.
Dal lato startup, la raccolta fondi può rivelarsi invece un canale più efficace rispetto ai round con fondi venture capital e incubatori: secondo dati Intermonte, circa il 57% delle campagne ha raggiunto il target prefissato (pari in media a 277.419 euro). «Moltissime startup si presentano direttamente ai tavoli dei venture capitalist, senza tenere in considerazione un mercato in crescita come questo – dice Barini – Nel Regno Unito si viaggia a un milione di sterline al giorno. Insomma, c’è un problema culturale perché non si conoscono lo strumento e i suoi vantaggi».
Al di là degli scetticismi, comunque, ci sono dubbi più pratici: le stesse startup potrebbero non essere un asset così solido, se si considerano il tasso di mortalità medio e il rischio di attese prolungate prima di incassare ritorni sull’investitore. «Se l’investimento va in porto, si possono acquistare titoli a prezzi ragionevoli e magari redditizi in futuro» dice Barini. E in caso contrario? Se la campagna non si “perfeziona”, cioè non raggiunge il target prefissato, i fondi tornano a disponibilità dell’investitore. E se il progetto non convince più – anche in caso di buon esito della raccolta – si può esercitare un diritto di recesso entro sette giorni dalla fine dell’operazione .

startup@ilsole24ore.com

@lucatremolada