Sono circa 800mila i dipendenti pubblici per i quali il rinnovo del contratto rischia di costare caro. Come? A causa dell’effettiva applicazione della riforma Brunetta – che dal 2009 è rimasta in un cassetto per la crisi finanziaria che ha congelato il pubblico impiego – la quale prevede la divisione degli statali in tre fasce. L’obiettivo è di concentrare sul 25% del personale la metà dei premi, distribuire l’altra metà dei fondi fra il 50% degli organici e lasciare l’ultimo quarto a secco.
Una misura che preoccupa l’intero settore, ma in particolare quei comparti delle Pa che già registrano una retribuzione complessiva al di sotto dei 30mila euro – tra questi il personale scolastico, gli addetti ai ministeri, alle regioni e alle autonomie locali.
La normativa è protagonista, in questi giorni, di diversi tentativi di modifica. La sede naturale per riscrivere le regole è il testo unico del pubblico impiego, che però arriverà a traguardo fuori tempo massimo. Si studia quindi la possibilità tecnica di anticiparne qualche contenuto nella legge di bilancio. L’obiettivo resta comunque quello di valorizzare il merito e favorire l’innalzamento della produttività.