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economia

Quanto dà Milano all’economia italiana? E quanto riceve? (seconda puntata)

Cosa dà l’Italia a Milano, e cosa restituisce al Paese il capoluogo lombardo? Sul dare abbiamo già dato nella prima puntata. Per rispondere alla domanda sul ricevere il modo più semplice è probabilmente ancora tramite l’economia.

Quante risorse arrivano a Milano, e quante vanno dalla città al resto del Paese? In occasione del referendum autonomisti di Veneto e Lombardia del 2017, il sito di analisi economica lavoce.info ha pubblicato un’analisi che ha cercato di calcolare proprio questo: “la differenza tra il contributo che ciascun individuo fornisce al finanziamento dell’azione pubblica e i benefici che ne riceve sotto forma di servizi pubblici”, spesso chiamata con il nome tecnico di “residuo fiscale”.

Si tratta, in estrema sintesi, di capire per ogni abitante se il denaro versato allo Stato in tutte le sue forme è maggiore o minore di quello che torna indietro per i servizi pubblici. Il calcolo non è semplice e ci sono modi diversi di farlo includendo o escludendo alcuni aspetti specifici. Tuttavia un po’ tutte le analisi concordano nel dire che in generale l’Italia è caratterizzata da un ampio trasferimento di risorse dal Nord al Sud (con qualche eccezione per le aree a statuto speciale), e in Lombardia questo sembra valere più che altrove.

Per esempio sempre secondo alcuni studi citati su lavoce.info il trasferimento di risorse al Sud varrebbe circa 30 miliardi di euro l’anno, o in base ad altre stime 5.600 euro per ogni lombardo, in media, nel periodo 2013-2015.

Si tratta dei valori di gran lunga più elevati per le regioni italiane che dimostrano come la Lombardia è il territorio che più versa e meno riceve indietro. Si tratta peraltro di valori regionali e quindi non fanno riferimento alla sola Milano: poiché si tratta di un’area metropolitana il cui Pil per abitante è circa il 25% maggiore rispetto alla regione in cui si trova, con tutta probabilità il residuo fiscale reale per abitante è in effetti ancora maggiore. Il sistema fiscale italiano infatti è progressivo, a intendere che i ricchi pagano una fetta di tasse più che proporzionale rispetto ai poveri, e quindi il residuo fiscale tende a fluire dalle une alle altre aree.

Ciascun calabrese, per citare il caso opposto, ha ricevuto in media 5.500 euro l’anno sotto forma di servizi pubblici in più rispetto a quanto ha contribuito, con valori decrescenti fino alle Marche – in cui il saldo è praticamente neutro, e poi appunto negativi molte aree del settentrione e la Lombardia in particolare.

“Sul fronte della spesa pubblica”, si legge, “il livello pro capite è più elevato nelle regioni a statuto speciale rispetto a quelle a statuto ordinario. Evidentemente le consistenti risorse finanziarie di cui beneficiano le regioni a statuto speciale hanno garantito livelli di spesa maggiori. Allo stesso tempo anche le regioni più piccole (Liguria, Umbria, Basilicata, Molise, Abruzzo) mostrano livelli di spesa pro capite maggiori, dovuti presumibilmente alla indivisibilità di alcuni beni pubblici e a diseconomie di scala. Le regioni del Mezzogiorno complessivamente mostrano un livello di spesa leggermente più basso rispetto alle altre. Per quel che concerne i residui fiscali sono evidenti invece i flussi redistributivi verso le regioni con reddito pro capite più basso, verso quelle a statuto speciale e verso quelle di piccole dimensioni. Le regioni del Mezzogiorno sono tutte beneficiarie della redistribuzione”.

Come nota ancora l’autore, “in Italia, la redistribuzione delle risorse è data da tre diverse componenti: la necessità di garantire a tutti i cittadini i medesimi servizi connessi a diritti fondamentali (come salute e istruzione), la messa a punto di iniziative per lo sviluppo economico di aree a basso reddito, nonché l’utilizzo di meccanismi di ripartizione delle risorse basate su criteri storici”.