Indica un intervallo di date:
  • Dal Al
cronaca

Cop30: cronaca in cinque atti un fallimento (quasi) annunciato

 

cop30
La scena finale della Cop30 a Belém sembra l’atto conclusivo di un dramma già scritto: la promessa di una road map globale per l’uscita dai combustibili fossili evapora all’alba di sabato, dopo trattative notturne che ricordano più un negoziato di tregua che una conferenza sul clima. La presidenza brasiliana aveva alimentato l’illusione del “miracolo”: chiudere in anticipo, consegnare un testo storico, realizzare ciò che a Dubai era sembrato solo l’inizio. L’ambizione si è trasformata in cautela, poi in ritirata. Nel documento finale la parola “road map” sparisce, insieme a qualsiasi riferimento diretto all’abbandono di petrolio, gas e carbone. Rimane un “acceleratore di implementazione” volontario, un forum più che un piano, l’ennesimo contenitore in cui mettere speranze future che non disturbino i petro-Stati.

1. Il grande bluff della “Road Map”: quando la semantica uccide l’ambizione Parliamoci chiaro: a Belém doveva andare in scena il miracolo diplomatico di Lula, la cosiddetta Mutirão decision. L’obiettivo era mettere nero su bianco una “road map”, una tabella di marcia vincolante per l’uscita dai combustibili fossili. Il risultato? La parola “road map” è sparita dal testo finale. Cancellata. Al suo posto ci troviamo con un “Global implementation accelerator”. Sembra un titolo altisonante da slide aziendale, ma nella pratica è un forum volontario, una “chiacchierata” cooperativa senza obblighi. I sauditi e i petro-Stati hanno vinto il braccio di ferro: non solo manca la tabella di marcia, ma è stato depotenziato anche il linguaggio della transition away faticosamente conquistato a Dubai. Abbiamo fatto un passo avanti per farne due indietro: la scienza chiede urgenza, la diplomazia ha risposto con burocrazia creativa.

2. L’ombra lunga di Trump e la resilienza (di facciata) del sistema C’era un elefante nella stanza a Belém, ed era biondo. Il ritiro degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi annunciato da Donald Trump e la sua definizione del riscaldamento globale come “truffa” potevano far crollare tutto l’impianto Onu. Il dato politico rilevante, però, è che l’effetto domino non c’è stato. Nessun altro Paese ha seguito gli USA fuori dalla porta; anzi, 194 nazioni sono rimaste al tavolo. L’Unione Europea e la presidenza brasiliana hanno tenuto in piedi la baracca del multilateralismo. È un successo? Sì, se consideriamo la sopravvivenza come un successo. Ma è una vittoria difensiva: abbiamo passato due settimane a evitare il collasso totale invece di costruire il futuro. Un accordo “salva-faccia” è meglio di nessun accordo, ma il clima non aspetta i tempi della politica americana.

3. Follow the money: triplicare i fondi per l’adattamento (ma basta?) Se guardiamo ai numeri, l’unico vero sussulto positivo arriva dal portafogli. Mentre a Baku l’Occidente aveva promesso 300 miliardi, qui il Sud Globale ha battuto i pugni sul tavolo ottenendo un impegno specifico: triplicare i finanziamenti per l'”adattamento” entro il 2035. Attenzione alla differenza: non parliamo di mitigazione (pannelli solari e pale eoliche che generano profitti per i privati), ma di soldi a fondo perduto per costruire argini, proteggere città e salvare vite nei paesi poveri. È una vittoria morale per i paesi in via di sviluppo, ma resta il dubbio sulla concretezza: senza una road map energetica, stiamo finanziando i giubbotti di salvataggio mentre continuiamo a bucare lo scafo della nave.

4. La guerra commerciale: Cina vs Europa, palla al centro Sotto la superficie delle discussioni climatiche scorreva un fiume di tensioni commerciali. La Cina (con l’India a ruota) ha tentato l’assalto al CBAM, la tassa europea sul carbonio alle frontiere, chiedendo un divieto esplicito per queste “misure unilaterali”. Pechino la vede come un dazio mascherato; Bruxelles come l’unico modo per non penalizzare le proprie industrie green. Chi ha vinto? Nessuno. L’Europa ha ottenuto di non menzionare divieti nel testo, rinviando tutto a discussioni future su “opportunità e ostacoli”. Il commissario Wopke Hoekstra tira un sospiro di sollievo, ma la guerra dei dazi green è solo rimandata a giugno.

5. Il paradosso di Belém: la delusione tecnica e la speranza civile Chiudiamo con la fotografia della sala Amazonas. Da un lato c’è la delusione palpabile per un documento politico, la Mutirao decision, che è oggettivamente “al ribasso” e privo di mordente sui fossili. Dall’altro, c’è un fenomeno interessante: la “Road Map”, cacciata dalla porta principale dell’ONU, sta rientrando dalla finestra. Oltre 80 paesi, guidati da Colombia e Olanda, hanno deciso di procedere comunque, fuori dai capannoni ufficiali, per creare una propria tabella di marcia. È la certificazione della crisi del consenso unanime: se l’ONU è troppo lenta perché ostaggio dei veti russi o sauditi, i volenterosi iniziano a correre da soli. È la fine della COP come unico strumento o l’inizio di un multilateralismo a due velocità?

Per approfondire.

La conferenza sul clima (Cop30) di Bélem in tre numeri e un grafico

Il fallimento della Cop29 raccontato con tre numeri

Cop28, tre grafici da cui ripartire per ribadire per l’ennesima volta l’allarme sul clima

A proposito di Cop27, dove trovare gli open data (europei) sulla transizione verde?

COP26, gli scenari di McKinsey e trent’anni di emissioni di CO2. Un grafico al giorno

Nel 2022 l’Europa ha tagliato del 2,8% le emissioni legate alla produzione di energia

Biodiversità, è in vigore la legge sul Ripristino della natura