La nuova infografica pubblicata da Visual Capitalist nel 2025 e basata sui dati di Statista mostra una distribuzione dei data center che ridisegna la geografia del potere digitale. Gli Stati Uniti concentrano quasi il 38% delle strutture globali, mentre l’Europa ne conta circa 3.500. Le installazioni operative nel mondo arrivano a sfiorare le 11.800 unità, secondo le stime diffuse anche da Voronoiapp. Non si tratta soltanto di una mappa, ma di un indicatore della direzione seguita dall’economia dei dati dove si trova l’infrastruttura, lì si accumula valore economico, capacità computazionale e influenza regolatoria.
La crescita nel tempo chiarisce il fenomeno meglio della fotografia statica. Nel 2005 la capacità installata globale era di circa 21,4 gigawatt. Vent’anni dopo, nel 2025, Visual Capitalist stima un balzo a oltre 114 gigawatt, più di cinque volte tanto. La curva segue l’espansione del cloud, dello streaming e soprattutto dell’intelligenza artificiale, che richiede volumi di calcolo sempre più intensivi. Si può leggere questo incremento come una versione energetica della legge di Moore: non raddoppia la potenza dei chip, ma raddoppia la domanda di spazio, elettricità e raffreddamento per gestire l’accelerazione nell’uso dei dati.
La concentrazione geografica di queste infrastrutture rende evidente un tema di centralizzazione. Gli Stati Uniti dominano, l’Europa si difende, l’Asia cresce ma resta frazionata. Dal punto di vista geopolitico significa che la maggior parte del traffico digitale globale passa attraverso nodi controllati da pochi attori, spesso privati. Ne derivano implicazioni sulla sovranità dei dati, sulla latenza dei servizi e sul costo dell’innovazione. In sostanza, il cloud non è ovunque, ma in pochi posti molto specifici.
La questione energetica è la componente materiale di questa storia. Un grande data center funziona come una piccola centrale elettrica al contrario: non produce energia, ma la consuma in modo continuo per alimentare server e sistemi di raffreddamento. Nei casi hyperscale, la superficie occupata può superare quella di decine di campi da calcio, come ricorda il World Economic Forum. Il settore è già responsabile di una quota crescente della domanda elettrica globale e dovrà fare i conti con limiti fisici sempre più pressanti: dalle reti locali sovraccariche alla disponibilità d’acqua, senza dimenticare il mix energetico nazionale.
Le stime sull’impatto ambientale restano difficili perché mancano dati comparabili sulle percentuali di utilizzo effettivo delle macchine. Molti impianti lavorano con carichi inferiori alla capacità nominale, mentre altri risultano saturi in funzione delle richieste di IA generativa. L’incertezza si estende anche alla distribuzione futura di queste infrastrutture. Alcuni segnali indicano una possibile migrazione verso aree periferiche, più economiche e con maggiori risorse energetiche; altri suggeriscono un ritorno alla prossimità, con mini-data center distribuiti per ridurre la latenza dei servizi intelligenti.
La mappa dei data center del 2025 rende visibile una contraddizione centrale dell’economia digitale: la promessa di smaterializzazione si appoggia su una delle infrastrutture più materiali del nostro tempo. La crescita della domanda di dati non si ferma, ma la capacità fisica di sostenerla — in termini di energia, spazio, acqua e regolazione — richiede un equilibrio che oggi è tutt’altro che garantito. La sfida per i prossimi anni sarà mantenere la velocità dell’innovazione senza superare i limiti del sistema che la sostiene, un po’ come guidare un’auto elettrica ad alta velocità controllando costantemente l’autonomia residua.
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