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Cop30, il mondo è sempre più vulnerabile agli eventi climatici estremi

 

Oltre tre miliardi di persone, poco più del 40% della popolazione mondiale, vive in uno degli undici Paesi che, negli ultimi trent’anni, sono stati più duramente colpiti dagli eventi climatici estremi, come le inondazioni, le ondate di calore estremo o le tempeste. Cataclismi naturali che continuano ad intensificarsi, con quasi diecimila casi di meteorologia estrema tra il 1995 e il 2024, causa di 830 mila vittime. Sono questi alcuni dei dati presentati a Belém, in Brasile, durante la Cop30:  la “conferenza delle parti” istituita trent’anni fa dalla United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC) e che risponde come organo responsabile delle decisioni relative all’attuazione degli impegni assunti per affrontare il cambiamento climatico. Ma, ad oggi, quanto è stato fatto per il clima dai diversi Paesi? E quanto bisogna ancora fare?

 

Nessun Paese rispetta gli accordi di Parigi

Il CAT’s rating method valuta un ampio spettro di obiettivi e azioni governative volte a ridurre le emissioni di gas serra, seguendo le linee guida e il limite di temperatura fissato dall’Accordo di Parigi. Secondo tale studio, condotto dalla Climate Action Tracker, nessun Paese ha posto in campo politiche e impegni climatici tali da poter rispettare il tetto di 1,5 °C previsto dagli accordi. La maggior parte dei Paesi, tra cui anche l’Italia, si ritrova ad un livello di rating “insufficiente”, mentre solo in dieci vengono definiti nelle valutazioni del report come “quasi sufficienti”.

 

Tanti (forse troppi) obiettivi ancora da raggiungere

Guardando al 2030, a soli cinque anni dalla conclusione del “programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità”, è chiaro che la strada da fare è ancora lunga. Secondo i più recenti risultati dello State of Climate Action 2025, gli sforzi globali per ridurre le emissioni di gas serra (GHG) non stanno dando i risultati sperati. La ricerca fornisce una roadmap completa per colmare il divario globale nell’azione per il clima e cerca di tradurre il limite di 1,5 °C in obiettivi realizzabili per il 2030, il 2035 e il 2050, mostrando quanto velocemente il mondo debba muoversi per trasformare i settori a più alte emissioni, spostare i flussi finanziari in linea con l’Accordo di Parigi e aumentare la rimozione dell’anidride carbonica. Ebbene, la pagella di quest’anno, la quinta della serie, fa riflettere: nessuno dei 45 indicatori valutati è sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo fissato per il 2030.

 

Guardando ai risultati, per cinque di questi indicatori, i recenti tassi di cambiamento stanno andando nella direzione completamente sbagliata. Il report, a riguardo, parla di quanto sia “necessario un cambiamento immediato nell’azione intrapresa per correggere la rotta”. Segue la valutazione di ulteriori 29 indicatori che, pur andando nella giusta direzione, sono ben lontani dall’obiettivo e “procedono così lentamente che entro la fine di questo decennio sarà necessaria un’accelerazione almeno doppia e, per la maggior parte, più che quadrupla”.

 

La vulnerabilità del mondo

Il clima uccide, lo dicono i dati. Le inondazioni sono state responsabili del 37% delle vittime (equivalenti a quasi seimila persone), seguite dalle ondate di calore (pari al 25%, quattromila persone) e dalle tempeste (16%, circa tremila). Sono l’Arabia Saudita, la Repubblica Islamica dell’Afghanistan e gli Stati Uniti ad aver registrato il maggior numero di vittime nel 2024 – tutte a causa di temperature estreme. In Arabia Saudita, oltre 1.300 persone sono morte a causa del caldo estremo durante il solo pellegrinaggio Hajj alla Mecca. Le temperature superavano i 50 °C. Gli Stati Uniti, allo stesso modo, hanno dovuto affrontare una grave ondata di calore nelle regioni meridionali e occidentali. Anche qui con oltre mille morti.

 

I danni economici diretti ammontano a più di 4.500 miliardi di dollari, al netto dell’inflazione. Le maggiori perdite del 2024 sono state, e di gran lunga, quelle dovute alle tempeste (pari al 77% del totale; 172,6 miliardi di dollari). Ma anche le inondazioni hanno causato danni economici significativi (il 15%, 32,8 miliardi). Gli Stati Uniti, la Spagna e il Brasile hanno sperimentato gli eventi estremi con le perdite economiche più elevate. L’uragano Helene è stato il più letale a colpire la terraferma degli Stati Uniti dai tempi dell’uragano Katrina nel 2005, causando 56 miliardi di danni complessivi. L’uragano Milton è stato il secondo evento estremo più costoso nel 2024.

 

Tutti questi numeri si trovano sui tavoli della Cop30. Fra gli accordi, gli obiettivi per il clima, un dramma umano da affrontare: la vulnerabilità del mondo.

 

Per approfondire. 

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