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cronaca

Quanto dura l’affido familiare (le differenze fra nord e sud) e cosa accade dopo?

I dati più recenti riguardo all’affido familiare dei minori in Italia sono stati pubblicati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali alla fine del 2023 e riportano il saldo al 31.12.2020: 12.815 persone – fra cui 450 minori stranieri non accompagnati – un valore in costante e leggero calo negli ultimi anni e che rappresenta l’1,4 per mille della popolazione minorile residente in Italia. A questi si aggiungono in 13.408 i bambini e ragazzi di 0-17 anni accolti nei servizi residenziali, al netto dei minori stranieri non accompagnati. 993 sono invece i ragazzi di 18-21 anni in affido familiare, di cui 224 stranieri.

In merito all’età degli accolti, la distribuzione nei diversi territori conferma la sostanziale prevalenza di preadolescenti e adolescenti. Il 40% degli affidati ha meno di 10 anni: il 4,3% ha meno di due anni, il 10,4% ha dai 3 ai 5 anni, il 26% ha dai 6 ai 10 anni. Un altro 30% ha dagli 11 ai 14 anni e il restante 28% ha dai 15 ai 17 anni.

Nel 90% dei casi i minori vengono dati in affido all’interno della medesima regione di provenienza, con differenze regionali tuttavia rilevanti. Ci sono regioni in cui per grossa parte dei ragazzi questa informazione non è registrata, addirittura il 40% dei casi in Liguria, il 20% in Calabria e il 13% in Sicilia.

I bambini stranieri cui si fa riferimento qui sono bambini giunti o nati in Italia ma in possesso di una cittadinanza straniera. Un bambino o adolescente su cinque di quanti sono in affidamento familiare è di cittadinanza straniera. A livello regionale si evidenziano importanti differenze con un campo di variazione molto ampio, con valori che oscillano tra un valore minimo di 3,6% e quello massimo di 33,2%. Le regioni nelle quali l’incidenza dei bambini stranieri in affidamento sul totale degli affidati non supera il 10% sono l’Abruzzo, la Campania, il Molise, la Puglia, la Sardegna, la Calabria, la Sicilia e la Valle d’Aosta mentre in altre supera un affido su quattro (Emilia-Romagna, Toscana e Umbria).

Quanto dura l’affido familiare

La legge 28 marzo 2001, n. 149 fissa la lunghezza massima dell’affido a 24 mesi, prorogabile da parte del tribunale per i minorenni laddove se ne riscontri l’esigenza. Eppure, a fine anno 2020 più della metà degli affidamenti mostra una durata superiore ai 2 anni: quasi il 22% dai 2 ai 4 anni, e nel 39% dei casi si va oltre i 4 anni. In realtà la legge del 19 ottobre 2015, n. 173 ha stabilito intorno al principio della continuità degli affetti che il minore possa essere affidato, se dichiarato adottabile, dai genitori affidatari. È stata sancita inoltre la necessità di assicurare la continuità delle positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l’affidamento con gli affidatari anche quando egli fa ritorno nella famiglia di origine o sia dato in affidamento a un’altra famiglia o sia adottato da altra famiglia.

Le differenze fra nord e sud

Sono significative le differenze regionali di diffusione del fenomeno dell’affido e delle sue modalità. In relazione alla popolazione minorile residente, le regioni in cui risulta più attivato l’affidamento familiare con valori pari o superiori ai due casi per mille sono Liguria, Marche e Piemonte (con oltre 2 bambini affidati a famiglie per mille residenti) contro valori molto bassi (intorno a 0,5 per 1000!) in Friuli-Venezia Giulia, Provincia autonoma di Trento e Bolzano, Campania e Sardegna. La distribuzione territoriale dei tassi di accoglienza dei bambini e dei ragazzi allontanati dal nucleo familiare di origine e collocati invece nei servizi residenziali per minorenni evidenzia anch’essa una certa eterogeneità regionale, ma non si può dire che laddove ci sono bassi tassi di affido in famiglia ci sono alti tassi di affido in strutture residenziali. Passiamo dai valori prossimi al 3 per mille in Liguria ad altri molto più bassi (inferiori all’1 per mille) in Valle d’Aosta, Marche, Umbria, e Calabria.

Una differenza fra nord e sud riguarda la tipologia di affidamento: si registra un maggior ricorso all’affido intrafamiliare (chiesto dai parenti entro il quarto grado del bambino) nelle Regioni del Sud rispetto a quelle del Centro-Nord, dove predomina l’affido extrafamiliare. In Abruzzo l’80% dei bambini è affidato ai parenti, come il 73% dei bambini del Lazio. Dal versante opposto troviamo l’Emilia Romagna, la Liguria e la Lombardia. In Emilia sembra che il 100% dei ragazzi sia affidato ad altre famiglie, in Liguria e in Lombardia rispettivamente il 23% e il 28% dei ragazzi sono affidati ai parenti.

Che cosa accade dopo l’affido

Uno su tre di questi bambini e ragazzi alla fine dell’affido ritorna nella propria famiglia di origine. Nel corso del 2020 sono stati 1.600 i bambini e i ragazzi che hanno concluso l’affidamento familiare, circa il 29% di questi sono minori di età di cittadinanza straniera. Il 31,7% rientra nella famiglia di origine, il 12,2% è in affidamento preadottivo, il 10,5% viene confermato in un’altra famiglia affidataria, il 15,5% si sposta in un servizio residenziale, il 3,4% è abbastanza adulto per una vita autonoma, nel 2% la destinazione è ignota, mentre un quarto dei ragazzi segue altri percorsi non meglio precisati dal rapporto.

Che dati abbiamo?

I dati che si riferiscono esclusivamente all’affidamento familiare residenziale considerano almeno 5 notti alla settimana, esclusi i periodi di interruzione previsti nel progetto di affidamento, disposto dai servizi locali e reso esecutivo dal tribunale per i minorenni o dal giudice tutelare, e tralasciano dunque quelle forme di affidamento più leggere che non implicano l’allontanamento del bambino dalla sua famiglia, come l’affidamento diurno o a tempo parziale, promossi dalle Linee d’indirizzo per l’affidamento familiare come strumenti volti a prevenire il rischio di accoglienza residenziale o per favorire il rientro in famiglia.

Non rientrano invece in queste statistiche tutte quelle esperienze innovative promosse dalle stesse linee di indirizzo ma ancora poco diffuse sul territorio nazionale, che prevedono l’affidamento del bambino assieme al suo genitore o all’intera famiglia.
Inolte, i dati di questo rapporto non conteggiano i minori stranieri non accompagnati (Msna) collocati in affidamento familiare in quanto soggetti che vivono l’esperienza di fuori famiglia di origine per la loro specifica condizione di minorenni soli sul territorio e non in quanto allontanati dal nucleo familiare con una misura disposta dal tribunale per i minorenni o dal giudice tutelare, e pertanto non pienamente assimilabili per caratteristiche alla generalità dei minorenni che vivono l’esperienza dell’allontanamento dal nucleo familiare di origine quale misura di protezione.