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politica

Povertà, un bambino nato a Catanzaro vive 11 anni in meno rispetto ad uno nato a Bolzano

 

La fortuna è una questione di geografia. Lo si può ben dire, soprattutto ora che Save the Children, attraverso i dati Istat, ha dimostrato che le disuguaglianze e la povertà incidono sulla salute dei bambini nati in Italia. Infatti, secondo lo studio, chi nasce a Catanzaro ha una speranza di vita di quasi 11 anni in meno rispetto a chi nasce a Bolzano.

Noi di InfoData  abbiamo cercato di spiegare le condizioni dei giovani e giovanissimi italiani. Ma guardiamo cosa ci dicono i numeri sul rischio di povertà per i ragazzi da 0 a 17 anni registrati negli ultimi 10 anni.

I numeri, da Nord a Sud

Secondo Save the Children, la salute è influenzata dalle condizioni socioeconomiche della popolazione. I fattori che ne determinano lo stato non sono solo fattori medici, ma anche legati alle condizioni sistemiche dei luoghi dove le persone sono nate, vivono, lavorano, crescono e invecchiano. È sulla base di tale preambolo che si sviluppa lo studio che andiamo a raccontare.

Le differenze geografiche, socioeconomiche e culturali si riflettono nel diverso numero di anni di “speranza di vita in buona salute” che una bambina e un bambino appena nati possono aspettarsi. Ad esempio, se in media, in Italia, una neonata nata nel 2020 aveva di fronte a sé una speranza di vita in buona salute di 60 anni, una bimba nata in Calabria ne aveva soltanto 52,7, mentre una bimba nata in Trentino ne aveva 65,2 (12,5 di più).

 Il divario tra Nord e Sud si riflette anche nelle condizioni di povertà assoluta dei minori. Nella penisola, infatti, questo indicatore è quadruplicata a partire dalla crisi globale del 2008 arrivando a colpire un minorenne su 7 nel 2021 (parliamo di poco più del 14%). Piccola precisazione: sono considerate in povertà assoluta le famiglie e le persone che non possono permettersi le spese minime per condurre una vita accettabile. Qui colpiscono le differenze legate a vari fattori di vulnerabilità: la cittadinanza non italiana e un maggior numero di figli.

 

Le cose non migliorano con l’età. Bisogna tenere a mente che il nostro Paese detiene il primato europeo dei giovani (tra 15 e 29 anni) che non sono inseriti in un percorso scolastico, formativo e lavorativo. Parliamo dei Neet (Not in Employment, Education or Training). Ma non è il solo campanello d’allarme. Un altro fattore di criticità è infatti rappresentato dall’elevato numero di abbandoni precoci degli studi. Infatti, la quota dei giovani italiani (dai 18 ai 24 anni) che escono dal sistema di formazione senza aver conseguito un diploma (o una qualifica), nel 2021 è pari al 12,7%. La media europea è pari al 10%.

Per chi invece riesce ad ottenere un diploma, la vita non sembra comunque sorridere. Ai giovani più istruiti e qualificati, l’Italia non offre ancora opportunità adeguate, e questo si capisce guardando ai numeri sulle emigrazioni all’estero dei laureati italiani, intensificate rispetto al 2019. Le direttrici principali dei flussi di giovani laureati continuano ad essere verso l’estero e dal Mezzogiorno al Centro-nord. Il bilancio delle migrazioni dei cittadini italiani (dai 25 ai 39 anni) con un titolo di studio universitario, si chiude con un saldo dei trasferimenti di residenza da e per l’estero di -14 mila unità. In particolare, nel Mezzogiorno, soltanto nel corso del 2020, sono andati via quasi 22 mila giovani laureati.

L’auspicio, a riguardo, è che venga promossa al più presto una combinazione di politiche e interventi specifici a garanzia di una crescita dignitosa per tutti i bambini e le bambine. Perché, da Nord a Sud, ognuno di loro ha il diritto di partecipare all’esistenza con le medesime possibilità, esprimendo le proprie attitudini, i loro sogni, senza muri socioeconomici, culturali o di genere.