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Quanto spendono i comuni per gli Asili nido: dai 2.904 euro di Bologna ai 23 euro di Vibo Valentia.

I Comuni del Meridione spendono circa 400 euro per ogni bambino sotto i tre anni di età per servizi educativi per l’infanzia. I comuni del Centro Italia 1.500 euro per bambino; nel nord-est 1.345 euro, a nord-ovest 883 euro. Anche aggiungendo le spese (esigue per la verità) delle regioni, e il “bonus asilo nido”, il gap non si restringe, anzi. Nel complesso, al Centro nord- si superano i 1600 euro per bambino, mentre al Sud si sfiorano al massimo i 600 euro. A livello provinciale il gap è ancora più sconcertante: passiamo dai 2.904 euro annui per bambino spesi della provincia di Bologna ai 23 euro annui di Vibo Valentia. Si nota inoltre chiaramente che al Sud la fetta di spesa gestita dalle associazioni è molto maggiore che al nord, dove grossa parte è in mano ai comuni.
Non stupisce, dunque, che solo il 15% dei bambini di 0-2 anni frequenti una forma di “asilo nido”, con picchi al ribasso nelle regioni meridionali. La questione del lavoro femminile deve necessariamente tenere in considerazione questi numeri. Come raccontavamo nella puntata precedente , l’asilo nido ancora non è percepito né utilizzato come servizio concreto alle famiglie per agevolare la partecipazione femminile al mondo del lavoro, specie nelle famiglie meno abbienti.

Notevoli divari di spesa si rilevano anche all’interno delle stesse province, in particolare fra i Comuni capoluogo e i Comuni dell’hinterland. I capoluoghi spendono in media 1.757 euro per bambino residente, mentre la spesa pro-capite media dei Comuni del resto delle province ammonta in media a 556 euro. Permangono comunque marcate differenze fra le aree centro-settentrionali e quelle meridionali del paese. Nelle province del Centro-nord la spesa pro-capite dei capoluoghi si attesta a 2.214 euro, a fronte di una spesa media per bambino di 0-2 anni pari a 748 euro nei Comuni non capoluogo.

I beneficiari del “bonus asilo nido” nel 2020 sono stati 271.780, quasi 18 mila in meno rispetto al 2019. I dati sono raccolti in un rapporto congiunto di Istat e Università Ca’ Foscari di Venezia pubblicato lo scorso 2 settembre. Il bonus è una misura di sostegno economico alle famiglie, nata con la legge n.232/2016, proprio per incentivare la fruizione dei nidi pubblici e privati. La normativa prevede l’erogazione di un buono annuo da 1.500 a 3.000 euro a copertura delle spese sostenute per asili nido pubblici e privati o per l’acquisto di servizi di assistenza domiciliare per bambini affetti da gravi patologie croniche. Il valore medio erogato nel 2020 è stato di 157 euro. Anche in questo caso con forti disomogeneità territoriali, a svantaggio delle regioni del Mezzogiorno. Un bambino sotto i 3 anni residente al Centro Italia riceve in media 210 euro, importo che al Nord-est e al Nord-ovest si attesta rispettivamente a 184 euro e a 164 euro, contro i 112 euro erogati nelle Isole e i soli 93 euro percepiti da un bambino che abita al Sud.

Nei Comuni del primo quartile, quelli cioè con la spesa pro-capite più alta, in cui risiedono poco più di un terzo di tutti i bambini sotto i 3 anni d’età in Italia, si concentra il 77% della spesa comunale e il 64% dei posti autorizzati in servizi a titolarità pubblica. Sugli stessi Comuni si concentra, inoltre, poco meno del 40% dell’offerta privata totale. Dall’altro lato della distribuzione troviamo che poco più di un sesto dei bambini risiede in comuni che non hanno spesa in servizi educativi per l’infanzia in cui sono distribuiti l’1% dei posti pubblici totali e il 12% dei posti in servizi privati.

Il punto è che i comuni spesso non ce la fanno a fare di più con le loro sole forze. Sembra che gli stessi si stiano orientando nel tempo verso forme di gestione meno onerose, cioè affidando i servizi a terzi. Se la spesa media annua per un bambino iscritto in un nido a gestione diretta ammonta a 8.645 euro nel 2019, questo importo quasi si dimezza (5.041 euro) nei nidi gestiti da terzi affidatari, si attesta a 3.553 euro annui per bambino accolto nei nidi privati convenzionati e cala ulteriormente a 1.813 euro medi annui per i contributi pagati alle famiglie.

Un ultimo aspetto interessante che emerge dall’analisi è che le famiglie che loro malgrado restano escluse dai servizi è molto maggiore al Nord rispetto al Meridione, in percentuale. Il 18% del bisogno delle famiglie del Settentrione rimane insoddisfatto, contro il 9,9% del Sud? Sembrerebbe anomalo, dato che è al Sud che mancano maggiormente i servizi. In realtà la ragione c’è: le famiglie del Meridione mandano poco i figli al nido, e mancano servizi, ma hanno tendenzialmente meno richiesta. “La minore incidenza del bisogno non soddisfatto fra le famiglie del Mezzogiorno può essere collegata sia allo stadio meno avanzato dello sviluppo dei servizi e alla conseguente minore consapevolezza dell’opportunità educativa che essi rappresentano – si legge nel rapporto – sia all’utilizzo di altri tipi di offerta, come l’iscrizione anticipata nella scuola d’infanzia, su cui viene convogliata una parte considerevole del bisogno educativo”. Insomma, l’alternativa sembra essere mandare prima i figli alla scuola materna, anche “fuori legge”. Le regioni Emilia- Romagna e la Valle d’Aosta, che sono tra le regioni con la più elevata copertura di posti nei servizi educativi per i bambini da 0 a 2 anni hanno le più basse quote di anticipatari sui residenti di questa fascia di età. Sul fronte opposto si trovano la Calabria e la Campania, con il 9,9% e l’8,5% di anticipi, a fronte di una dotazione di posti nei servizi educativi inferiore all’11%.
Stando ai dati MIUR riportati nel rapporto, il 5% degli iscritti alla Scuola Materna in Italia come anticipatari è nato dopo il 30 aprile, quindi risulta irregolare, con picchi dell’1,3% degli iscritti in Abruzzo, del 2% in Campania e del 3,2% in Calabria.