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cronaca

Dove solo un bambino su sei ha accesso al nido è inutile parlare di lavoro femminile

Al Sud meno di un bambino su sei (il 15%) con meno di 3 anni potrebbe avere accesso al nido, al nord uno su tre (il 33%). Ben 20 province meridionali registrano quote inferiori al 7%, con i livelli più bassi (inferiori al 2%) nelle province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e Caserta. Sul versante opposto della “classifica” abbiamo Gorizia (39%), Bologna (35,2%), Trieste (34,3%) e Firenze (33,4%). Nel complesso, nell’anno educativo 2019/2020, sono stati 197.525 i bambini sotto i 3 anni accolti dai servizi educativi comunali o convenzionati con i Comuni: il 14,7% su totale dei loro coetanei.
Parlare di occupazione, in particolare di lavoro femminile dopo la nascita del primo figlio, ha poco senso senza prendere atto di questi numeri impressionanti.

Rispetto al 2018/2019 cresce la copertura dei posti disponibili rispetto al potenziale bacino di utenza, ovvero i bambini residenti da 0 a 2 anni di età. Questo indicatore passa dal 25,5% del 2018 al 26,9% del 2019, e si avvicina, pur restando ancora inferiore, al parametro UE del 33% fissato nel 2002 dal Consiglio europeo di Barcellona come obiettivo target da raggiungere, entro il 2010, per incentivare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, attraverso una miglior conciliazione della vita familiare con quella lavorativa.
L’offerta si compone principalmente degli asili nido tradizionali, per il 78,8%, il 12,6% per sezioni primavera,  prevalentemente nelle scuole d’infanzia e rivolte ad accogliere i bambini da 24 a 36 mesi; mentre il rimanente 8,6% dei posti è offerto dalle diverse tipologie di servizi integrativi per la prima infanzia.

Per amor di completezza, in Italia 7 bambini su 100 non frequentano nemmeno la scuola materna, fra i 3 e i 5 anni. Abbiamo raggiunto l’obiettivo dichiarato nel 2002 dal Consiglio europeo, che prevedeva di offrire assistenza all’infanzia per almeno il 90% dei bambini di età compresa fra i 3 anni e l’inizio dell’obbligo scolastico, ma il gap rispetto ad altri paesi occidentali europei che registrano valori prossimi alla copertura totale di questa fascia d’età, è ancora evidente.

Tornando ai nidi, fra le 110 province italiane sono 30 quelle che hanno una copertura media dei posti rispetto ai bambini tra 0 e 2 anni uguale o superiore al 33%; fra queste solo la provincia di Sassari appartiene al Mezzogiorno. Le province che hanno superato il 40% di copertura sono soltanto 11, nessuna al Sud. Tuttavia, il vero dato interessante è quello disaggregato: anche se al Centro-nord i posti disponibili sono di più e arrivano anche al 41% nel sottoinsieme dei capoluoghi di provincia, basta spostarsi nelle province periferiche per toccare con mano la situazione desolante.
“Esistono non poche difficoltà, dal punto di vista pratico, perché il sistema di offerta possa rispondere in tempi rapidi al concreto bisogno di servizi educativi ad elevati standard qualitativi su tutto il territorio nazionale” si legge a pagina 5 del rapporto pubblicato a inizio settembre 2022 frutto del lavoro congiunto fra il Dipartimento delle Politiche per la famiglia, l’Istat (Istituto Nazionale di Statistica) e l’Università Ca’ Foscari Venezia.

Il problema di fondo è che di fatto l’asilo nido non è ancora visto come un servizio che supporta le donne che sono a casa – da prima, per scelta, “per scelta”, o perché hanno dovuto dimettersi dalla professione – nel trovare un’occupazione. Il nido è oggi una scelta delle famiglie dove entrambi i genitori lavorano, e soprattutto di quelle con uno stato socio-economico migliore. Le famiglie svantaggiate sono portate a utilizzare i servizi di asilo nido o similari molto di meno. Non stupisce: il costo della frequenza del nido è elevato, soprattutto se gli unici servizi sono privati. Il carico medio annuo sostenuto da una famiglia che utilizza il nido si stima pari a ben 2.208 euro annui nel 2019, ben poco sostenibile in nuclei basso reddito. Le famiglie che iscrivono i propri figli al nido hanno un reddito netto annuo equivalente di 24.213 euro, mentre quelle che non utilizzano il nido di soli 17.706 euro. Solo il 19,3% dei bambini appartenenti alle famiglie con redditi più bassi (primo quinto di reddito) frequenta il nido, quota che cresce al 22,5% per le famiglie che si collocano nel secondo quinto, si attesta intorno al 25% per le famiglie con redditi medio-alti (terzo e quarto quinto), fino al 34,3% per le famiglie con i redditi più elevati.

Dal momento che i posti non sono per tutti, c’è da seguire un criterio, che chiaramente dà la priorità alle famiglie in cui lavorano entrambi i genitori. Nel 2019-20 il 32,4% delle famiglie in cui la madre lavora usufruiscono del nido, contro il 15,1% delle famiglie in cui solo il padre è impiegato. Tale divario invece si annulla se si considera come discriminante la condizione lavorativa del padre. Fra le famiglie di laureati, il 33% dei bambini ha accesso ai nidi il doppio dei bambini con genitori in possesso di titolo di studio inferiore.
Nella prossima puntata vedremo il perché di questo divario, cioè quanto costano gli asili nidi, alle famiglie e ai comuni.