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politica

A proposito di elezioni e disuguaglianza, qualche domanda sulla Generazione Z

A luglio 2022 è diventato virale un video su TikTok in cui alcune lavoratrici di un noto marchio di moda online denunciavano le condizioni di lavoro povero e sfruttato per poter vendere i prodotti a un prezzo così – è il caso di dirlo – stracciato. Oltre alle centinaia di commenti da parte di utenti per lo più giovanissimi, che deridevano le lavoratrici che stavano denunciando facendo ironia sulla necessità di velocizzare ancor più i processi di produzione – “Veloce, amica, che sto per ordinare”- colpisce il tentativo di alcuni account di sottolineare l’ovvio, ovvero che si tratta di processi di sfruttamento sul lavoro, e le conseguenti risposte da parte di giovanissimi e giovanissime che, sorpresi, dichiarano candidamente di non notare alcun tipo di sfruttamento. “Ma hanno l’aria condizionata”, “beh, ma hanno un lavoro”, “non vedo nessun bambino”, e via dicendo.

Parliamo spesso della cosiddetta Generazione Z – i ragazzi che sono diventati maggiorenni dopo il 2013 – quelli per i quali è stato coniato il famoso meme ‘Ok Boomer’ come ironica sintesi della distanza spesso siderale fra le abitudini e le opinione dei giovanissimi e quelle dei loro genitori, i Baby Boomers, appunto. Alla Generazione Z, a differenza dei loro fratelli maggiori – i Millennials, che ora hanno dai 30 ai 40 anni – vengono poste sulle spalle molte aspettative. Sono dipinti come la generazione più consapevole di sempre sui problemi del pianeta: cambiamenti climatici, gender gap, diritti delle minoranze. Sono “sul pezzo”, informati, viaggiano molto e sono connessi con i loro coetanei da tutto il mondo. Ci aspettiamo da loro una grande consapevolezza, come sembrano essere gli influencer più noti della loro generazione. Tuttavia, come abbiamo raccontato qualche settimana fa analizzando i dati Istat, non bisogna dimenticare che i giovani non sono tutti uguali: accanto ai globetrotter c’è un 17% dei 20-24 enni che non ha un diploma.

Oggi ci troviamo di fronte a un fatto: da una parte sempre più giovani e giovanissimi continuano a seguire un modello sociale della ricchezza come valore da perseguire, del successo in termini di milioni di followers (e quindi di euro) proposto dagli influencer, ieri come oggi. Dall’altra si propone una narrazione di una generazione controcorrente rispetto alle dinamiche che hanno affossato la possibilità di una presenza umana sul pianeta sostenibile per la nostra futura sopravvivenza. Come possono andare di pari passo queste due tendenze, entrambe considerate “predominanti”? Sembra che i giovanissimi siano più consapevoli, in media, dei problemi ambientali, rispetto ai loro genitori e fratelli maggiori. Ma quanto lo sono delle dinamiche complesse che si intrecciano nella propria epoca – come lo sfruttamento del lavoro povero e gap salariale – che sono sì dinamiche “nuove” come tutto il dibattito pubblico sul cambiamento climatico, e quanto sono consci della pericolosità di alcune dinamiche “antiche” che sottendono nuovi problemi? Basta seguire un influencer (solitamente ricco) per aver consapevolizzato una serie di dinamiche?

Attenzione: qui il punto più interessante non è dire in un articolo se “la Gen Z” sia consapevole o meno. Come per tutte le generazioni non si può generalizzare: gli esempi di giovanissimi mirabilmente impegnati su molti fronti sono palesi. È importante cercare di quantificare queste tendenze con dei dati verosimili per capire se ciò che gli influencer raccontano sia effettivamente rappresentativo di una generazione; se sia cioè una strada sensata per misurare i comportamenti dei “giovanissimi”. In altre parole: quanto la scuola, i media e una migliore politica, devono ancora insistere su alcuni aspetti.

Non vi sono molti dati su questo, ma qualcosa per iniziare c’è. Il Capgemini Report del 2020 intervistava oltre 10.000 persone di età superiore ai 18 anni in 10 paesi, Italia inclusa, per individuare i principali trend sui consumi per generazione. Nel complesso emerge che un terzo degli intervistati della Gen Z non è disposto a pagare qualcosa in più per avere un prodotto sostenibile o sano. Circa il 40% di loro non è disposto a farlo per detersivi e prodotti per la casa. Si tratta di una percentuale senza dubbio minore rispetto ai loro genitori, ma siamo ancora lontani dalla totalità dei ragazzi. Sembra che il tema dei rifiuti sia molto sentito, meno quello della sostenibilità dei trasporti. Il 64% della Gen Z e il 54% dei Millennials sono disposti e hanno pagato di più per generi alimentari in imballaggi sostenibili rispetto solo al 30% dei Boomers. Quando fanno la spesa, il 72% della Gen Z e il 66% dei Millennial sono disposti a pagare di più per gli alimenti biologici, e in effetti lo hanno fatto l’ultima volta che hanno comprato prodotti alimentari, rispetto al 56% dei boomer. Eppure, il 67% dei 50-60 enni dichiara che è importante acquistare i prodotti locali, contro il 52% della Generazione Z. I giovanissimi però sono maggiormente disposti a pagare un extra per una consegna rapidissima: il 5% contro il 3,2% dei loro genitori. Solo il 53% della Gen Z di età compresa tra i 18 dei 24 anni afferma di andare spesso a fare acquisti in negozio, contro il 73% dei loro genitori Boomers.

I nati dopo il 1995 rappresentano oggi il 32% della popolazione mondiale e si stima possegga il livello di reddito aggregato in più rapida crescita di qualsiasi fascia demografica, destinato a raggiungere i 33 trilioni di dollari nel 2030 e superando il potere di spesa dei Millennial entro il 2031.

Cercheremo di raccontare nei prossimi mesi dei dati per rispondere a queste complesse domande, che a livello politico saranno cruciali nei prossimi decenni.