Indica un intervallo di date:
  • Dal Al
economia

Come sta andando il riscaldamento climatico? ‘ultimo rapporto spiegato con tre grafici

Secondo Laurence Tubiana, amministratrice delegata della European Climate Foundation , il rapporto  dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) è “un brutale promemoria che il cambiamento climatico sta già uccidendo le persone, distruggendo la natura e rendendo il mondo più povero”.

 Lo sconforto di questa affermazione non può che acuirsi pensando che lo studio a cui si riferisce è tra i più rinomati, elaborati e completi rapporti riguardanti l’ambente su scala globale. Basato sul coordinamento di duecentosettanta autori provenienti da sessantasette Paesi e all’opera sulla bellezza di trentaquattro mila studi, il rapporto specifica delle importanti ragioni secondo cui l’adattabilità dell’uomo alle attuali evoluzioni del cambiamento climatico non è poi così scontata. Ma entriamo nel merito dello studio e cerchiamo di capirne le conseguenze esposte con l’aiuto di tre infografiche.

 

“Neppure il futuro è più quello di una volta”

Nella narrativa della prima infografica – ripresa proprio dal rapporto IPCC – si spiega un viaggio lungo e tortuoso che l’umanità potrà compiere distruggendo il pianeta ovvero preservandone l’esistenza. Sì, perché citando Paul Valéry, “il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta”. Una massima che calza a pennello se si pensi che, di fatto, non è poi così scontato che ci sia un futuro per la specie umana. E il rapporto, del resto, esprime a più riprese questo concetto.

 

Nell’infografica si evince che sono differenti le strade percorribili: alcune con una connotazione positiva (in verde), derivanti da meccanismi di cambiamento (inclusivi, di equità e giustizia ambientale, di gestione etica dell’ecosistema) che vadano a limitare a 1,5 °C la temperatura del pianeta; altri di natura negativa (in rosso), che vadano invece ad incrementare i livelli di pericolosità del riscaldamento globale, di iniquità sociale e ambientale.

 

La timeline al dì sotto delle possibili strade riprende il checkpoint temporale impostato nella Sustainable Development Goals (SDG) , come definita dagli Stati membri delle Nazioni Unite nel 2015, con l’obiettivo per il 2030 di ridurre la povertà e proteggere il pianeta.

 

La riduzione dei rischi all’abbassarsi delle temperature

Un’altra infografica che ci può aiutare nel comprendere i risultati nel report ideato dalla IPCC è stata elaborata dalla World Resources Institute (WRI). L’istituto di ricerca che opera a livello globale ha ripreso il rapporto delle Nazioni Unite nella parte in cui si sostiene che “ogni decimo di grado di riscaldamento aggiuntivo aumenterà le minacce per le persone, le specie e gli ecosistemi”. Secondo questo punto di vista, di fatto, anche rispettando i limiti di riscaldamento imposti dagli accordi di Parigi per mantenere i livelli sotto all’1,5 °C, non basterebbe per mettere a sicuro il pianeta.

 

Sulla scia di queste ragioni, nel loro resoconto [] si legge: “con solo 1,5 °C di riscaldamento globale, molti ghiacciai in tutto il mondo scompariranno completamente o perderanno la maggior parte della loro massa; altri 350 milioni di persone sperimenteranno la scarsità d’acqua entro il 2030; e fino al 14% delle specie terrestri dovrà affrontare alti rischi di estinzione”.

 

Nella rappresentazione dell’infografica si entra nella specificità di alcune fattispecie, riprendendo il rischio sopracitato ed esponendolo per le casistiche di aumento delle temperature.

 

La questione dell’adattamento

Un nodo cruciale del rapporto riguarda l’adattamento dei sistemi. Nello studio ci si pone la domanda di quanto si possa essere flessibili in ragione del peggioramento delle condizioni climatiche. L’IPCC appare scettico sugli sforzi profusi dagli Stati che secondo il rapporto appaiono ancora in gran parte incrementali, poco reattivi e su piccola scala, con la maggior parte dei finanziamenti incentrata solo sugli impatti attuali o sui rischi a breve (o brevissimo) termine. Si stima, inoltre, che le esigenze di adattamento raggiungerebbero la quota di duecentonovantacinque miliardi di dollari all’anno per i soli Paesi in via di sviluppo (tra il 2030 e il 2050). Al momento, le condizioni di adattamento, sono una fetta molto piccola di esborso promossa dagli Stati che se ne fanno promotori – si parla di una quota che rappresenta dal 4 all’8% dei finanziamenti monitorati per il clima.

 

Questa ultima infografica rappresenta queste disparità tra i rischi chiave nelle condizioni di adattamento.

In ultimo, c’è da ammettere che nel rapporto si potrebbe ritrovare (scavando) un barlume di positività. Sì, perché nello studio si evidenzia che con un adeguato livello di finanziamenti istituzionali si potrebbe risalire la china (come evidenziato nella prima infografica) e riuscire ad avere conseguenze meno impattanti per i vari sistemi. Un altro modo per dire che il futuro non è sicuramente più quello di una volta, ma che ancora nulla è perduto e con lo sforzo di tutti si potrebbero far migliorare le condizioni dei popoli assieme alla salute del nostro pianeta.

Per approfondire. 

La legge di Murphy del climate change. Pagano i più poveri

Cosa misura il Climate Change Performance Index? Italia al 30esimo posto

COP 26, climate change e capitalismo. Come sta andando a Glasgow?