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politica

Il Covid-19, l’indice Gini e le nuove mappe della disuguaglianza in Italia

La disuguaglianza dei redditi è più alta al Sud che nel resto d’Italia, dice l’ultimo rapporto dell’Istat, soprattutto prima ma anche dopo l’intervento di redistribuzione pubblica. I dati, relativi al 2020, mostrano che in Italia l’indice di Gini è pari al 44,3% per i redditi primari, ovvero prima dei trasferimenti monetari da parte dello Stato e dell’imposizione fiscale.

 

L’indice di Gini dei redditi è un indicatore che misura quanto concentrati essi sono in un certo numero di persone. Vale zero quando i redditi sono distribuiti in modo perfettamente uguale fra i soggetti, e 100 quando invece vi è massima disuguaglianza.

 

L’intervento pubblico riduce in maniera significativa la disuguaglianza, facendo calare l’indice di Gini di 14,1 punti e portandolo, dopo appunto i trasferimenti pubblici e l’imposizione fiscale, al 30,2%. In questo i trasferimenti pesano molto di più nella riduzione della disuguaglianza rispetto a tasse e contributi, e portano rispettivamente a un calo della disuguaglianza di 10,5 e 3,6 punti.

 

La disuguaglianza dei redditi primari è significativamente più alta nel Mezzogiorno (46,5) rispetto al Centro (42,1) e al Nord (40,7), sottolinea l’istituto: “la geografia della disuguaglianza riflette la diversa diffusione sul territorio di famiglie monoreddito caratterizzate da una bassa partecipazione dei giovani e delle donne al mercato del lavoro. L’effetto redistributivo è relativamente più importante nel mezzogiorno, dove i trasferimenti e il prelievo determinano una riduzione della diseguaglianza da 46,5 a 29,6 punti. La diseguaglianza del reddito disponibile rimane comunque significativamente diversa tra le aree geografiche, anche dopo l’intervento pubblico”.

 

In quanto area povera, il Sud riceve un’ampia quota di trasferimenti pubblici dalle altre zone più ricche, e questo ne riduce la disuguaglianza in maniera netta, facendola diminuire di circa 12 punti e mezzo. Un’ulteriore calo di 4,3 punti arriva poi dall’imposizione fiscale, ossia da tasse e contributi previdenziali. Per fare un confronto, la riduzione della disuguaglianza derivata dall’intervento pubblico nelle diverse aree geografiche porta rispettivamente a un calo dell’indice di Gini di 16,9 punti al sud, 14,2 al centro e 12,4 al nord, contro una media italiana di 14,1 punti.

 

 

L’analisi dell’Istat si sofferma anche sull’impatto delle misure straordinarie per mitigare gli effetti economici della pandemia, trovando che per quanto riguarda la riduzione della povertà esso è “stato più rilevante nel nord-ovest (-4,8 punti percentuali) rispetto alle altre aree del paese. Nel mezzogiorno il rischio di povertà rimane considerevolmente elevato anche se l’intervento straordinario per il Covid-19 ha ridotto di 2,1 punti percentuali il rischio di povertà al Sud e di un punto nelle Isole”.

 

Una possibile spiegazione può essere nella maggiore presenza di economia sommersa nel Meridione, il che rende più difficile progettare misure in grado di avere un impatto significativo. Se per esempio si prevede una misura per un certo gruppo di lavoratori o lavoratrici, ma essi non risultano da nessuna parte perché impiegati in nero, la loro situazione si complica.

 

Dal punto di vista dei redditi bisognerà aspettare ancora un po’ per avere numeri precisi e capire esattamente quali aree sono state colpite di più. Nel frattempo però possiamo trarre qualche conclusione da una indagine straordinaria condotta dalla Banca d’Italia dopo la prima ondata, secondo cui il 16,6% delle famiglie del meridione ha visto il proprio reddito ridursi di oltre il 50%, contro il 15% del centro e il 13,5% del nord. Per un altro 17,4% al sud il reddito è calato fra il 25 e il 50%, valore di nuovo superiore al nord (15,9%) ma inferiore al centro (23,4%). In quei mesi, d’altra parte, ha visto crescere il proprio reddito l’1,6% delle famiglie al nord contro lo 0,6 al centro e l’1% al meridione.

 

Quasi il 40 per cento degli individui indebitati”, ricordava Bankitalia, “dichiara di avere difficoltà nel sostenere le rate del mutuo a causa della crisi; la quota è più elevata nel centro e nel mezzogiorno. Solo un terzo di chi è in difficoltà con il pagamento delle rate del mutuo ha fatto ricorso o intende far ricorso alla moratoria mutui. Fra coloro che hanno un finanziamento per credito al consumo la percentuale di individui in difficoltà con il pagamento della rata è del 34 per cento”. Il 18,3% delle famiglie meridionali diceva di poter far fronte alle spese essenziali soltanto per un mese, attingendo alla propria liquidità, e il 42,8% per meno di tre mesi. Di nuovo valori superiori di diversi punti sia al centro che al nord.

 

Già prima della crisi l’economia del Sud era in sofferenza, e secondo la stessa rilevazione oltre il 16% delle famiglie dicevano di arrivare a fine mese “con difficoltà” o “con molta difficoltà”. Nelle altre aree del paese a dire lo stesso erano invece l’11-12% delle famiglie.

 

Questi sono gli effetti noti della prima ondata, con la successiva breve ripresa e poi l’arrivo della seconda e ancora più grave ondata dell’inverno 2020. In qualche tempo arriveranno i dati che terranno in conto dell’effetto dell’intero anno sui redditi, che potremo usare per fare conti migliori a livello locale.