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tecnologia

Il partito comunista, la nuova via della seta e i videogiochi. La Cina va studiata meglio

 

Dalle 20:00 alle 21:00 da venerdì a domenica e non più di tre ore alla settimana. Dopo avere acceso nella prima settimana di agosto un mini-dibattito sulla stampa nazionale, la Cina ha introdotto nuove misure restrittive sui videogame online per gli under 18 nel tentativo di frenare la dipendenza dai videogiochi, un problema diffuso nel Paese che interessa soprattutto i più giovani. In Occidente sono le famiglie a vegliare sul consumo di videogiochi dei minori. Nel Continente rosso invece è lo Stato e più propriamente i partito comunista. Quello che sta avvenendo nel mondo dei videogiochi però va analizzato con strumenti meno binari. Le scelte della Cina in fatto di dati con la nuova Gdpr che partirà a novembre, ma anche le conseguenze della strategia commerciale Belt and Road Initiative (Bri) e le ultime prese di posizione sul digitale vanno studiate con attenzione.  La stretta anti-big tech nazionali operata questa estate, con il Governo cinese che ha richiamato all’ordine 25 campioni nazionali delle tecnologie come Alibaba, Tencent e ByteDance (TikTok) va inquadrata in una strategia più ampia. Un punto di osservazione per studiare meglio l’economia delle piattaforme e il confronto Cina-Usa forse è rappresentato proprio da quanto sta accadendo nel mondo del gaming. Ecco alcuni spunti di riflessione, un working paper video con Andrea Pontiggia (Università Ca’ Foscari Venezia e Bocconi) . Siete su PlayThinkTalk, nuova stagione. Buona visione

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