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Vogliamo misurare la salute mentale? Mancano i dati sui suicidi e anche quelli sulla depressione

Nonostante la prevenzione al suicidio sia uno dei temi più rilevanti e complessi nelle agende di chi si occupa di salute mentale, in Italia non ci sono dati aggiornati su questo tema. Dal 2017 a oggi non si trovano statistiche ufficiali sulle persone che si sono tolte la vita, nemmeno riferite al 2020, anno particolarmente difficile per le persone più fragili.

Anche nonostante il 10 settembre 2019, in occasione della Giornata Mondiale della Prevenzione del Suicidio l’Istituto Superiore di Sanità avesse annunciato la nascita dell’Osservatorio epidemiologico sui suicidi e sui tentativi di suicidio (Oestes). Al momento non si trova traccia in rete di questo osservatorio.

4000 suicidi l’anno

Dal marzo a giugno 2020, la Fondazione BRF – Istituto per la Ricerca in Psichiatria e Neuroscienze ha aperto un “Osservatorio Suicidi Covid-19”  , monitorando gli atti suicidari in base alle notizie di cronaca, ma chiaramente non si tratta di dati statistici solidi. In ogni caso, nei primi tre mesi di pandemia l’Osservatorio ha raccolto notizie di 62 suicidi correlati, direttamente o indirettamente, a COVID-19. Dal gennaio 2021, l’osservatorio raccoglie quotidianamente i dati sul totale dei suicidi e dei tentati suicidi presenti sui giornali e online, indipendentemente dalle ragioni dell’atto. In questo modo abbiamo un numero, sebbene empirico: dal 1 gennaio al 22 agosto 2021, si sono contati 413 suicidi e 348 tentati suicidi.

I dati Istat più recenti arrivano al 2017, e parlano di 4mila suicidi l’anno in media negli anni precedenti alla pandemia. Il tasso di mortalità per suicidio in Italia nel periodo 2015-17 è stato pari a 6 per 100mila residenti (molto più basso della media europea, che era pari a 11 suicidi per 100 mila). Una quota che aumenta con l’età, passando dai 0,7 casi per 100 mila residenti nei ragazzi fino a 19 anni, ai 10,5 casi per 100 mila negli anziani. È tuttavia la classe di età tra i 20 e i 34 anni quella dove il suicidio rappresenta una rilevante causa di morte (ben il 12% dei decessi).

In realtà negli ultimi vent’anni i tassi di suicidi sono calati. Come riporta l’ISS , dal 2000 al 2016 il tasso grezzo di mortalità per suicidio a livello globale è diminuito del 16% tra gli uomini e del 20% tra le donne. In Italia in particolare, fra i più giovani i tassi di suicidio cominciano a ridursi in maniera significativa a partire dalla seconda metà degli anni Novanta. I numeri hanno visto un rialzo in corrispondenza della crisi economico-finanziaria del 2008, aumento che ha riguardato quasi esclusivamente gli uomini in età lavorativa e si è protratto negli anni seguenti la crisi almeno fino al 2016, che è però l’ultimo anno per il quale il dato è riportato.

Mancano anche dati completi sulla diffusione della depressione

La prevalenza di difficoltà nella salute mentale, e in particolare la depressione, sono fattori di rischio fondamentali per il suicidio e quindi sulla possibilità di prevenirlo, come auspicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Anche qui tuttavia non è per niente facile avere dei dati. In particolare non abbiamo ancora dati solidi sull’impatto che sta avendo la pandemia sulle nostre vite, come raccontavamo sempre su Infodata qualche mese fa.  La maggioranza degli studi che sono stati pubblicati nell’ultimo anno e mezzo sono trasversali (si dice in gergo medico) cioè intervistano persone per la prima volta, ponendo domande sul proprio stato di salute in un dato momento, in questo caso per esempio durante o dopo il primo lockdown. “In questi casi è facile che si registrino alte percentuali di rispondenti con ansia o depressione ma è difficile capire se il fenomeno si è generato o acuito in relazione alla pandemia. Servono invece studi longitudinali, dove si intervistano le stesse persone nel corso del tempo sugli stessi aspetti della vita, per intercettare i reali cambiamenti nel loro stato di salute” ci raccontava Angelo Picardi psichiatra e psicoterapeuta, che lavora nel Centro di riferimento per le Scienze Comportamentali e la Salute Mentale dell’Istituto Superiore di Sanità. “Ci sono stati per esempio dei paesi che negli ultimi decenni hanno strutturato delle coorti di popolazione, le hanno seguite nel tempo, garantendone la rappresentatività, investendo del denaro per garantire a tutti l’accesso al computer e a internet, anche a chi era in difficoltà economiche, per non rischiare di perdere questa importante parte del campione.”

Il 6% degli italiani nel 2019 soffriva di depressione

Il 10 settembre, Eurostat ha diffuso  i dati pre pandemia: nel 2019 il 7,2% dei cittadini UE ha riferito di avere una depressione cronica, in percentuale maggiore fra le donne. Tra i paesi dell’UE, la Slovenia (15,1%) ha avuto la quota più alta della popolazione che ha riportato depressione cronica nel 2019, seguita dal Portogallo (12,2%) e dalla Svezia (11,7%). Gli italiani sembrano cavarsela meglio della media, con il 6% circa di persone che soffrono di depressione cronica.

Il dato proviene dalla rilevazione PASSI 2016-19 dell’ISS  che monitorava la percentuale di persone adulte in un campione, che riferiva sintomi depressivi e percepiva compromesso il proprio benessere psicologico per una media di 14 giorni nel mese precedente l’intervista. Fra queste persone, oltre alla salute psicologica, anche quella fisica risulta decisamente compromessa: nel mese precedente l’intervista chi soffre di sintomi depressivi ha vissuto  mediamente 10 giorni in cattive condizioni fisiche, contro i 2 giorni passati male dalle persone libere da sintomi depressivi, e 8 giorni con limitazioni alle abituali attività quotidiane, a differenza delle persone senza sintomi depressivi che hanno avuto meno di 1 giorno passato con limitazioni.

I sintomi depressivi sono più frequenti all’avanzare dell’età (sfiorano l’8% fra i 50-69enni), nella popolazione femminile (7%), tra le classi socialmente più svantaggiate, che sia per difficoltà economiche (ben il 14% di chi riferisce molte difficoltà economiche presenta sintomi depressivi), sia per bassa istruzione. Li manifesta l’8% di chi non ha  un lavoro regolare continuativo , il 13% di chi riferisce almeno una diagnosi di patologia cronica e l’8% delle persone che vivono sole.

Ma soprattutto: si chiede ancora poco aiuto. Solo il 61% degli intervistati che riferiscono sintomi depressivi ricorrono all’aiuto di qualcuno, rivolgendosi soprattutto a medici/operatori sanitari.