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politica

Covid, diritto alla salute e libertà individuali: siamo disposti ad accettare restrizioni permanenti?

La conferenza stampa di Mario Draghi del 22 luglio in cui il capo del governo ha ufficializzato l’adozione del Green pass per accedere a tutta una serie di eventi e servizi, ha riacceso il dibattito (a dir la verità mai sopito in questi mesi) sul rapporto tra libertà individuale, i suoi confini, e il diritto alla salute. Tra chi critica il Green pass (al di là degli eccentrici no-vax), c’è anche chi vede in tale policy il pericolo di una misura che da temporanea si trasformi per isteresi istituzionale in qualche cosa di più duraturo, ben oltre il termine della pandemia, in modo quindi non necessario ed arbitrario (questa è ad esempio la posizione dei filosofi Cacciari e Agamben nella loro assai discussa lettera pubblicata recentemente). Dopotutto anche oggi, pur non essendoci più l’obbligo di portare mascherine all’aperto (in assenza di assembramenti), una percentuale non banale di italiani comunque lo fa. E nelle interviste che si sono fatte a riguardo, una risposta che va per la maggiore è che “ci siamo oramai abituati a portarle”. D’altra parte, i giapponesi lo fanno da anni, specie ma non solo, sui trasporti pubblici, senza poi troppe polemiche, almeno sembrerebbe. Un recente sondaggio pubblicato sull’Economist ha però portato ulteriori argomenti di discussione. Secondo infatti questa indagine di Ipsos, il sostegno da parte dei cittadini inglesi sulla possibilità di estendere permanentemente alcune misure restrittive adottate per combattere il COVID-19, indipendentemente dal rischio legato alla pandemia, è minoritario, ma niente affatto marginale. Giusto per citare qualche percentuale: il 46% sosterebbe misure che permetterebbero solo a chi è vaccinato di viaggiare all’estero anche in un mondo post-COVID, il 36% vorrebbe misure di tracciamento (via app o altro) per chi entra in un ristorante, il 26% vorrebbe tutte le discoteche chiuse, e il 19% addirittura il coprifuoco post-10 di sera, indipendentemente dalla ragione.

Figura 1: Tabella apparsa su The Economist, 10 Luglio 2021

Sono percentuali che difficilmente possono essere ricondotte (solo) a lunatici o a ipocondriaci. Chiaramente questo anno e mezzo di pandemia ha cambiato qualche cosa di profondo nelle nostre società, almeno in una fetta di cittadini.

E in Italia? In collaborazione con Simone De Battisti, direttore di Hokuto e dell’Osservatorio Socio Politico, abbiamo voluto replicare il sondaggio fatto per la Gran Bretagna, ma applicato questa volta al Bel Paese. Vediamo i risultati. Il primo dato che salta all’occhio è che per tutte le domande, la percentuale di italiani a sostegno dell’estensione di misure restrittive oltre alla pandemia sono decisamente più basse di quelle inglesi. La differenza più marcata è nei confronti del coprifuoco (solo il 2% a favore in Italia) e in quelle sul tracciamento. Ma discostamenti significativi si hanno anche a proposito dell’eventuale irrinunciabilità del green pass per poter viaggiare, nell’obbligo dell’utilizzo della mascherine e nelle regole di distanziamento sociale in occasioni di eventi. Solo nel caso della quarantena i dati nei due paesi in qualche modo si parlano tra di loro. Rispetto al sondaggio Ipsos, nel caso italiano abbiamo poi voluto anche introdurre una domanda relativa alla possibilità di rendere permanente il green pass per accedere ad eventi o servizi (ancora una volta, si noti, indipendentemente da qualunque rischio di pandemia legata al COVID-19). La percentuale di supporto è in questo caso del 22%. Giova comunque ricordare che il nostro sondaggio è stato somministrato prima della conferenza stampa di Draghi da cui siamo partiti. Ergo, qualche cosa potrebbe essersi modificata nel frattempo.

Figura 2: Percentuale di rispondenti a favore di rendere permanenti alcune misure di restrizione indipendentemente dal rischio COVID-19 – Confronto tra Italia e Gran Bretagna

La diversità degli italiani e lo zoccolo duro proibizionista

Ma esiste qualche fattore (individuale o geografico) che in qualche misura è correlato con il fatto che alcuni italiani vorrebbero trasformare misure restrittive della libertà individuale nate nel periodo della pandemia da temporanee a durature (tralasciando ovvie questioni di costituzionalità, su cui non entriamo)? Per capirlo abbiamo innanzitutto controllato se le risposte alle nostre 8 domande si riferissero in qualche modo alla stessa dimensione latente (ovvero, rinviassero ad una stessa disposizione d’animo, per così dire), ottenendo conforto a riguardo, sia attraverso una scala di Likert (alpha di Cronbach: 0,93) che attraverso un modello di item response theory. Abbiamo quindi stimato la somma nelle risposte per ciascun intervistato nel nostro campione a tali domande, per produrre una statistica che abbiamo chiamato “Indice di PROTEZIONE” (un indice che varia quindi da 0 a 8 – nel caso in cui un rispondente si dichiari a favore di mantenere permanentemente tutte e 8 le misure di restrizione catturate dalle nostre domande). La media complessiva di tale indice nel nostro campione è pari a 1,7 (ovvero, in media un intervistato è favorevole a rendere permanenti quasi 2 misure restrittive su 8), con un valore mediano però pari a 0. La sensibile distanza tra media e mediana riflette quindi l’esistenza di una minoranza, una sorta di zoccolo duro “proibizionista” in fatto di misure restrittive, che le vorrebbe tutte o quasi, a fronte di una larga maggioranza che non ne vorrebbe alcuna. Una percentuale come detto minoritaria, inferiore al caso inglese, ma che comunque coinvolge circa 1 italiano su 5 nel nostro campione.

Chi è che dice no!

Cosa dire invece dei possibili fattori correlati a tale valore? Abbiamo considerato in questo senso una serie di fattori socio-geografici comuni: l’età, il genere, l’educazione, l’occupazione, il posizionamento politico, la dimensione della città in cui un italiano vive e la sua zona geografica. Alcuni aspetti emergono in modo interessante da una analisi bivariata. In generale, l’Indice di PROTEZIONE assume valori più accentuati tra gli uomini, con laurea, impiegati o insegnanti (ma anche studenti), che vivono nel centro Italia e in grandi città, nella fascia di età tra i 35 e i 54 anni, e con una posizione ideologica centrista.

Figura 3: Relazioni bivariate tra alcune variabili socio-economiche e l’Indice di PROTEZIONE

Ovviamente quanto riportato nella Figura 3 è il risultato di una semplice analisi descrittiva, che per giunta non considera il fatto che alcuni dei fattori appena esposti non sono indipendenti tra loro (ad esempio l’età e il fatto di essere in pensione o essere studenti, e così via). Abbiamo quindi effettuato una analisi econometrica per cercare di capire meglio la significatività e la forza della relazione tra ciascuna delle variabili viste e il nostro Indice di PROTEZIONE. Da questa analisi, che rimane del tutto esplorativa, spicca l’impatto di 5 fattori: l’età, il genere, l’educazione, l’occupazione e l’area geografica di residenza. Per fare due casi estremi ed opposti: un uomo di età avanzata, laureato e che vive nel Nord Est ha un valore atteso nel nostro Indice di PROTEZIONE pari a 2,6. Una giovane donna, con un basso livello di istruzione e disoccupata, ha per contro un valore atteso per l’Indice non significativamente differente da 0. Emerge invece la sostanziale irrilevanza della dimensione della città in cui un rispondente vive (insomma, almeno in questo caso non c’è alcuna frattura città-campagna, al contrario di quanto emerso con forza ultimamente nel caso di diverse elezioni) e soprattutto, una volta controllato per le altre variabili, del posizionamento politico.

Figura 4: Coefficienti della Regressione Binomiale Negativa (n.b. solo i coefficienti con un intervallo di confidenza – al 90% o al 95% – diverso da 0 sono significativi) – Variabile dipendente: Indice di PROTEZIONE

Quest’ultimo risultato è in particolare sorprendente, almeno alla luce della forte politicizzazione delle varie misure introdotte via via in Italia per contrastare la pandemia (dal lockdown al green pass). Risultato sorprendente, dunque, ma anche assai benvenuto, specie in una epoca di forte polarizzazione affettiva come quella in cui stiamo vivendo, che potrebbe incidere positivamente sulla ragionevolezza del dibattito politico che ci aspetterà nei prossimi mesi riguardo a cosa fare nel mondo post-pandemia. Almeno, ci auguriamo, sul fronte delle libertà di ciascuno di noi.

Nota metodologica: l’indagine relativa al caso italiano è stata condotta tramite sistema Cati dal 14 al 16 luglio 2021. E consiste in 1203 interviste rappresentative della popolazione italiana maggiorenne zona geografica, ampiezza centro, sesso, età’. Margine di errore statistico massimo +/- 2.8%. Elaborazione statistica R.

Data Analysis ospita interventi di ricercatori e docenti universitari e analisi di data journalist ed esperti su working paper, articoli scientifici e studi che parlano in modo più o meno diretto alla società e alle politiche data-driven.