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Questo articolo parla di open data. Ma lo avete già letto Il caso dei dati Infn-Iss

Questo articolo avremmo potuto scriverlo a marzo dello scorso anno. Ergo, se vi fosse capitato di leggere Infodata in quel periodo, potete passare oltre. Quanto segue, infatti, lo avete già letto. Sì, perché quando si parla di dati le istituzioni italiane appaiono incatenate ad una coazione a ripetere che impedisce loro la piena trasparenza. E questo nonostante più di 52mila persone abbiano chiesto di spezzare la catena.

I fatti, per onor di cronaca: l’Istituto nazionale di fisica nucleare ha pubblicato alcuni grafici a partire dai dati trasmessi dall’Istituto superiore di sanità. Il tema, ovviamente, è la pandemia da nuovo coronavirus. Dati, sotto alcuni aspetti, più completi rispetto a quelli forniti, questi sì in formato aperto, dalla Protezione civile. Ad esempio, ci sono le informazioni sui positivi calcolati in base alla data in cui il tampone è stato effettuato e non rispetto a quando è stato analizzato. Oppure ci sono i ricoveri suddivisi per fascia di età.

Il tutto sotto forma di grafici interattivi, con anche la possibilità di scrivere un’email per suggerirne di nuovi. Bene che ci siano i grafici, male che ci siano solo quelli. Qui a bottega lo si ripete, appunto, dal marzo 2020: bisogna aprire i dati. A sostegno di questa tesi, valga ricordare solo il fatto che è proprio studiando gli open data che a gennaio 2021 alcuni analisti si accorsero che la Lombardia rimase in zona rossa una settimana di troppo.

Intanto, però, di open data sul Sars-CoV-2 sul sito dell’Infn non c’è traccia. Coazione a ripetere per coazione a ripetere, tocca ancora una volta ai civic hacker mettersi al servizio e scrapare i dati. Ovvero raccoglierli e renderli disponibili per tutta la comunità scientifica, non solo quella che ha stretto accordi con l’Iss, e più in generale di tutta la collettività. Lo ha fatto il presidente di onData Andrea Borruso, per il quale ormai aprire le dashboard istituzionali sul coronavirus è diventato una sorta di secondo lavoro, e Shoichi Yip, studente di fisica all’università di Trento.

Insomma, tutto come un anno fa. Dati preziosi per misurare la pandemia che vengono pubblicati solo in formato grafico, senza dare all’intera comunità scientifica l’accesso a queste informazioni, attivisti che si fanno carico di raccoglierli ed aprirli. No, sul fronte degli open data pare davvero che non riusciremo ad uscirne migliori.